Welfare

Cinque idee per l’adozione 3.0

Decreti vincolati, che "promettono" bambini piccoli, oggi inesistenti. Una formazione scollata dalla realtà dell'adozione. Il nazionalismo che parlando dei "nostri bambini" nega loro la possibilità di una famiglia. In questa cornice, come dobbiamo immaginare le adozioni internazionali che si affacciano al loro terzo decennio di storia? Ripartendo dalla felicità delle nostre tante famiglie colorate. Che dimostrano meglio di qualsiasi trattato come ogni bambino ha gli stessi diritti, in qualunque parte del mondo sia nato

di Sara De Carli

Le adozioni internazionali sono cambiate. Sono cambiati i numeri, i bambini, le famiglie, le condizioni. Sono cambiati i paesi d’origine e siamo cambiati noi, paese di accoglienza. Guardando i numeri, è facile capirlo: sono meno di mille le adozioni previste per il 2019 (a dire il vero più novecento che mille) e considerando che in media ogni coppia adotta 1,27 bambini, significa che per la fine dell’anno i minori che avranno trovato una famiglia in Italia, grazie all’adozione internazionale, saranno ancora una volta meno dell’anno precedente, meno cioè dei 1.394 minori adottati nel 2018. Il crollo verticale (l’apice, lo ricordiamo, furono i 4.130 minori adottati nel 2010) prosegue. Ma è facile capirlo anche scorrendo la cronaca, dove si legge nello stesso weekend degli insulti razzisti a Balotelli e a un bambino di 10 anni che giocava la sua partita di calcio su un campetto di provincia. Preso atto di questo cambiamento, cosa serve davvero perché le adozioni internazionali – che si affacciano al loro terzo decennio di storia – possano dispiegare ancora il loro affascinante e potente compito di rendere figlio un bambino, ovunque egli sia nato? Il fatto che tutti gli enti autorizzati si siano riuniti e risintonizzati per il rilancio delle adozioni internazionali è certamente una notizia bella e importante, ma concretamente qual è l’orizzonte in cui le adozioni si muovono e si muoveranno nel prossimo decennio? Ecco le risposte di alcuni enti.

Marco Rossin, responsabile delle adozioni internazionali di AVSI

«Questa inedita autoconvocazione di tutti gli enti autorizzati è importante per il suo significato prima ancora che per le proposte specifiche», afferma. «È un po’ l’ultimo salvagente, non per gli enti ma per le adozioni, dal momento che ci aspettavamo di attestarci sulle mille adozioni l’anno e invece si continua a scendere. Salvare le adozioni è necessario, perché nel mondo i bambini in stato vulnerabilità non sono in calo. Quello che vediamo noi enti, che nei Paesi esteri siamo presenti, è che i bambini abbandonati esistono benché spesso non siano censiti». Ammette che inizialmente era «scettico» rispetto alla possibilità che enti che erano stati «su versanti opposti fino al giorno prima, potessero trovare punti in comune». Invece «è successo». Fra i temi di lavoro che Rossin sottolinea, c’è quello della «formazione congiunta» e del «lavorare insieme tutti, difficile ma necessario». I quattro pilastri del sistema adozioni, Tribunali per i Minorenni, servizi, CAI ed enti autorizzati, infatti in questi anni «salvo qualche raro protocollo specifico, hanno lavorato in maniera disgiunta. Cercare un dialogo e un modo comune di lavorare è uno dei punti centrali oggi». A cominciare dai servizi, «le operatrici storiche sono andate in pensione e le nuove devono fare formazione, ma una formazione congiunta». E dai Tribunali che «emettono decreti vincolati, per bambini che non abbiano compiuto i 3 anni: fare un abbinamento di questo tipo è difficilissimo, perché i bambini così piccoli non ci sono. O quel Tribunale non è “sul pezzo” o implicitamente vuole che quella coppia non adotti».

Marco Griffini, presidente di AiBi

Per il presidente di AiBi-Amici dei Bambini «Adozioni 3.0 è la migliore risposta al clima di odio che negli anni passati è stato cercato, con quella logica di divide et impera. Questa risposta corale, con l’adesione convinta di tutti, fa piacere, si sta creando un clima veramente di collaborazione. È la risposta concreta e responsabile di chi vuole lavorare e guardare al futuro». Un primo segnale positivo, per Griffini, è il fatto che sia stato deposto «lo stereotipo che da anni girava per cui nel mondo non ci sono bambini adottabili. La ministra Bonetti nelle sue prime dichiarazioni ha parlato invece dei tanti bambini che nel mondo aspettano una famiglia. Basta venire una settimana in un ente autorizzato per vedere quanti sono i minori adottabili nelle liste che ci arrivano: certo sono ragazzini grandi 12-13 anni, entrati in istituto a 2-3 anni. È un problema serio, occorre ricominciare a parlarne e a pensare soluzioni nuove. Ad esempio la Colombia continua a chiedere all’Italia di aprire alle vacanze preadottive, ma noi non rispondiamo…».

Per Griffini le prospettive di lavoro per il terzo decennio sono duplici. All’interno, le priorità sono «i decreti vincolati emessi da tanti Tribunali, in testa quello di Venezia» e la «formazione delle coppie, perché stanno arrivando coppie che non sanno cos’è oggi l’adozione internazionale oggi, pur avendo fatto formazione con i servizi». Il problema è che «si è interrotta l’osmori tra enti autorizzati e servizi, occorre rimettere tutti gli operatori fianco a fianco, tutte le quattro gambe delle adozioni, per una nuova stagione di formazione congiunta. Noi stiamo pensando di rendere obbligatoria la formazione prima di dare mandato», anticipa Griffini. Sul fronte esterno, il rilancio delle adozioni ha a che fare con la politica, con la «speranza che ministra Bonetti voglia riprendere in mano la CAI dal punto di vista politico, proiettandola con impegno con verso l’esterno» ma anche con l’interlocuzione con vari soggetti a livello internazionale, dall’Aja alla Commissione Europea, dall’Unicef all’Onu «d’altronde questo raggruppamento è il più numeroso e il più importante al mondo, può legittimamente aspirare ad essere un interlocutore per queste realtà». Griffini elenca una serie di domande: «perché l’adozione internazionale non rientra fra i sistemi di protezione dell’infanzia? Perché Unicef non ha mai fatto un rapporto sulla situazione dei minori abbandonati nel mondo? È vero che se un Paese chiude le adozioni internazionali ha un rating superiore per avere finanziamenti? E in Europa, perché non creare una banca dati europea per capire quanti sono i minori abbandonati in istituto?».

Fabrizio Pregliasco, presidente di ANPAS

È un messaggio sintetico ma chiaro quello del presidente di Anpas: «È molto positivo il fatto di essere insieme, vedere le buone pratiche di ognuno, non può che migliorare la situazione attuale di crisi delle adozioni, con numeri sempre più piccoli. Noi siamo piccoli ma teniamo molto a mantenere questa attività, facendola con attenzione e con costi contenuti per le coppie, come abbiamo sempre fatto. Rinnoviamo quindi il nostro impegno, nell’ottica di contribuire, tutti insieme, a migliorare ulteriormente il sistema».

Gianfranco Arnoletti, presidente di Cifa

«Perché ci siamo in “Adozioni 3.0”? Perché è raro e prezioso che tutti gli enti firmino uno stesso documento… Essere finalmente un gruppo unito lascia ben sperare nella possibilità di una interlocuzione più forte e più efficace con la politica», afferma il presidente di quello che – da anni – è il primo ente autorizzato d’Italia per numero di adozioni concluse. «Non crediamo che l’adozione internazionale stia scomparendo, certo è diventata più complessa e circoscitta alle famiglie disponibili ai bambini che ci sono adesso: ci sono fior fiore di decreti per bambini fra 0 e 2 anni che creano solo illusioni, perché i bambini di oggi non sono quelli. Cerchiamo famiglie per i bambini di oggi, non per bambini che non ci sono o non arriveranno mai», denuncia anche lui. Serve «uno scrollone alla politica» e «occorre invitare delegazione straniere, fargli incontrare i bambini di dieci anni fa, oggi cresciuti e felici… Sembra impossibile, ma pare che la CAI non possa invitare delegazioni estere per via del contenimento dei costi…», dice. Cosa serve alle adozioni internazionali per il loro terzo decennio? «Un po’ di quell’atmosfera di felicità che ha fatto tanto bene alle famiglie nel primo decennio. Non mi piace il termine “rinascita”, ma quello che è necessario oggi è che ogni soggetto protagonista di questo mondo si riprenda il proprio ruolo il proprio spazio sociale».

Paola Crestani, presidente di Ciai

Con le sue parole la presidente del Ciai, Paola Crestani, tratteggia una cornice di senso entro cui posizionare sia il crollo verticale dei numeri delle adozioni internazionali sia l’autoconvocazione «positivissima» di tutti gli enti autorizzati. «Un anno e mezzo fa, al meeting di EurAdopt, Mia Dambach, direttore dell’International Social Service disse che nel mondo ci sono 2,7 milioni di minori in istituto, di cui solo il 20% è senza famiglia e quindi è adottabile. Sono pur sempre mezzo milione di bambini… Però adozioni diminuiscono. Io credo che le adozioni internazionali diminuiscano tanto perché stanno aumentando le chiusure, i nazionalismo, il concetto dell’ “a casa propria”. Vale per l’Italia ma anche per i Paesi di provenienza. È molto cambiato contesto culturale rispetto a quello in cui a fine anni ‘60 è nata l’adozione internazionale: allora c’era uno spirito di apertura, di fratellanza universale che adesso non c’è più. Alla base delle adozioni internazionali c’è il concetto che ogni bambino ha gli stessi diritti in qualunque parte del mondo sia nato e che ognuno di noi di quel bambino si sente responsabile, indipendentemente da dove vive». Crestani racconta i concetti che passano ormai quotidianamente dalle istituzioni: «ci occupiamo noi dei nostri bambini, li affidiamo alle nostre famiglie” sono il parallelo del “pensiamo ai nostri e non agli altri, perché il sistema di welfare è già in difficoltà così”. Tutto questo non è un terreno fertile per le adozioni internazionali, è evidente che c’è bisogno anche di un cambiamento culturale ed è proprio per ambire a questo che è necessario unire le forze: abbiamo approcci diversi e modalità operative diverse, ma sono certa che tutti siamo accomunati dalla consapevolezza che l’adozione internazionale è uno strumento potente di tutela dei minori, che funziona bene e che garantisce ai bambini la possibilità di vivere in una famiglia. È un lavoro impegnativo che ci coinvolge tutti, non solo chi è interessato all’adozione ma tutta la società e tutte le organizzazioni della società civile». La speranza viene dai semi gettati: «L’adozione internazionale sparso semi nella nostra società, le nostre famiglie colorate dimostrano che l’accoglienza funziona e funziona bene.. siamo un lievito per questa società accogliete che vorremmo far tornare a crescere».

Photo by George Pagan III on Unsplash

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