Salute
Cinque associazioni di pazienti? Valgono 20 milioni di euro
La stima è contenuta nel primo rapporto sulla «Valorizzazione della rete dei volontari alleati per la salute». Quantificare il controvalore dell'operato gratuito di 20mila persone è importante per riconoscerne la professionalità e dar forza alle loro istanze. I pazienti e i loro rappresentanti sono sempre più spesso chiamati ai tavoli decisionali, questa è la direzione da intraprendere ma tale rappresentanza, per essere realizzata appieno, va istituzionalizzata, per il bene del sistema sanitario nazionale
Spesso si dice, non a torto, che i volontari nella salute hanno un valore inestimabile. Eppure, oggi, una cifra c'è. Quasi 20 milioni di euro: è questo il controvalore in denaro delle attività svolte nel 2021 da cinque associazioni di pazienti, per un totale di un milione e duecentomila ore di lavoro svolte da 20mila volontari, 400 dipendenti e quasi 59mila persone assistite. La stima del contributo dato alla salute pubblica è contenuta nel rapporto sulla «Valorizzazione della rete dei volontari alleati per la salute», nato dall’idea di Europa Donna e frutto della collaborazione di realtà associative diverse tra loro per storia, dimensioni e modalità di intervento, ma unite in un progetto supportato da Novartis di rendicontazione collettiva per misurare quantitativamente l’impatto del proprio agire sull’ecosistema salute in Italia.
Si tratta dell’associazione nazionale contro leucemie, dei linfomi e del mieloma Ail, dell’associazione italiana scompensati cardiaci Aisc, dell’associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare Apmaar, di Europa Donna Italia e di Federazione italiana malattie rare Uniamo.
«Non è stato immediato individuare metriche e indicatori adeguati ad attività di volontariato delle cinque realtà osservate» ha spiegato Gaia Giussani, di Pwc l’azienda che ha elaborato i dati raccolti. «Nel 2021, le cinque associazioni hanno raccolto fondi per oltre 56 milioni di euro tramite diversi canali, tra cui donazioni (20%), 5X1000 (16%), lasciti testamentari (5%) bandi pubblici e privati e sponsorizzazioni (58%). I fondi sono stati utilizzati per integrare le opzioni di cura e assistenza fornite dal sistema sanitario, sostenere la ricerca, condurre attività di comunicazione e advocacy. Sono state effettuate 70.000 visite gratuite effettuate da specialisti e 15.000 colloqui con psicologi gratuiti, per un totale di 58mila persone assistite».
Spesso il valore delle associazioni e del loro attivismo civico è intangibile, ma « poterlo quantificare è fondamentale e l’automisurazione è un elemento innovativo» ha detto Manuela Tamburo De Bella, dirigente Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali Agenas. «Per Agenas, che ha da sempre promosso l’alleanza indissolubile tra istituzioni, operatori sanitari e i protagonisti del nostro operato, i pazienti, questo rapporto è un riconoscimento dell’operato e del valore sociale ed economico delle associazioni. Agenas vi affiancherà in questa direzione. Nel Piano oncologico nazionale, il terzo settore ha un ruolo rilevante, non solo nella parte scientifica e di cura, ma anche di sedersi al tavolo dei decisori e guidare laddove non siamo in grado di individuare aspetti che solo chi vive la malattia sulla propria pelle piò evidenziare. Ora la rappresentanza va istituzionalizzata. È un cambiamento che dobbiamo spingere. L’obiettivo comune è la cura e la sostenibilità del nostro sistema sanitario».
La partecipazione dei pazienti e dei loro rappresentanti ai tavoli decisionali e a tutte le fasi della ricerca è raccomandata da tutte le agenzie, anche europee, ma è una strada appena intrapresa. Come fa osservare anche Pino Toro, presidente nazionale Ail, «siamo nella fase organizzativa, le istituzioni devono dotarsi di strumenti per rendere possibile questo passaggio». Riprendendo l’interrogativo che nel rapporto si pone Carlo Alberto Pratesi, presidente dell’European institute for innovation and sustainability Eiis, «come sarebbe il mondo se queste organizzazioni non esistessero» (p.35), Toro osserva che «le associazioni hanno soprattutto il merito di aver per prime introdotto e favorito questo cambiamento culturale di dar voce al paziente, è stato questo il loro grande valore trasgressivo e culturale».
Nel contesto di grande frammentazione, dove le associazioni sono tante e non sempre collaborano, l’alleanza necessaria alla stesura del rapporto ha avuto anche un altro merito: «La programmazione condivisa ci ha aiutato a comunicare. Il confronto tra organizzazioni è un’opportunità inestimabile di apprendimento e knowledge sharing. Condividere esperienze e best practice per poterle riproporre nel proprio ambito, aiuta a ottimizzare le risorse e generarne di nuove» ha detto Rosanna D’Antona, presidentessa di Europa Donna, rete di 185 associazioni di volontariato per le pazienti con tumore al seno, ricordando che parlare con voce unica è un elemento di forza. «Il prossimo passo sarà quello di valutare anche l’incisività a livello legislativo. Dopodiché, la collaborazione tra associazioni e istituzioni è una classica situazione win-win, dove lo scambio di dati, indicazioni, valutazioni e priorità consente l'ottenimento del miglior risultato possibile» in un'ottica di adeguatezza e sostenibilità.
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