Cultura
Cinema. Tom Cruise e Spielberg difendono la politica di Bush
L'attore e il regista, in Italia per presentare "Minority report", approvano la guerra contro l'Iraq, ma poi criticano le paranoie da controllo presenti negli Usa e descritte nel film
Forse a causa del jet leg, Tom Cruise e Steven Spielberg si sono non di poco contraddetti nella conferenza stampa di presentazione del film Minority report, nelle sale italiane dal 27 settembre e già campione d’incassi negli Usa.
“La politica di Bush è solida e basata sulla realtà: vuole sradicare il terrorismo ovunque si trovi”. Questo il giudizio del regista del film Spielberg sull’imminente attacco americano all’Iraq. E ancora: “Se Bush ha informazioni affidabili sul fatto che Saddam sia vicino a realizzare armi per la distruzione di massa non posso che condividere la linea del mio governo”. L’attore Tom Cruise non la pesa diversamente. “Nessuno vuole la guerra ma in questo caso è difficilissimo giudicare”, dice. Poi però si lascia andare: “Non ho più informazioni di voi, leggo i giornali e grazie a Dio non tocca a me prendere certe decisioni, ma Bush si trova ad affrontare una situazione molto complessa e difficile e Saddam ha sicuramente commesso molti crimini contro l’umanità”.
Spielberg è più chiaro: “Quando l’America è stata attaccata con la magnitudo di una Pearl Harbour è stato un segnale chiaro e forte che qualsiasi città del mondo poteva essere vulnerabile. Le Torri gemelle, in cui hanno perso la vita persone di paesi e fedi tanto diverse sono un simbolo. Tutto il mondo è stato attaccato e bisogna essere più attivi nell’impedire che ciò possa ripetersi”.
Fin qua la loro versione guerrafondaia. Ora riportiamo anche quella libertaria.
Il film Minority report negli Stati uniti è uscito a giugno ed ha accesso forti dibatiti sui temi della perdita della libertà personale. “L’impatto che ha avuto è stato sicuramente forte”, spiega convinto il regista “perché il pubblico si è sentito in stretto rapporto con la storia che raccontiamo non solo per quanto riguarda la perdita della privacy, ma per ciò che stava avvenendo dopo l’11 settembre. Quella tragedia ha riportato le persone a ripensare al proprio futuro, ai propri diritti, alla propria libertà”.
Alla domanda se è così che cominciano le dittature Cruise addirittura risponde: “E’ vero, la gente rinuncia a pezzi dei propri diritti, a esprimere le proprie opinioni e così si perde l’indipendenza, l’individualità”. E Spielberg va ancora oltre: “Nessun popolo e nessuna democrazia dovrebbe consentire ai propri governi di parlare più forte di chi li ha eletti”.
Ora, i due dovrebbero mettersi d’accordo: o stanno col loro presidente, che vorrebbe bombardare qualunque cosa si muova di islamico e potenzialmente terrorista, sulla Terra, oppure stanno con chi, nel loro stesso Paese, critica duramente le conseguenze pericolose e le insidie alle libertà di ogni cittadino che tale “stato di guerra permanente” causano ai danni degli stessi americani. Una cosa sola è certa: il film in questione è basato su una novella del grande e vsionario scrittore di fantascienza Philip K. Dick, che aveva capito tutto di complotti, dittature striscianti, onnipresenza dei media e pericolosità della tecnologia, nei suoi libri, al punto da combatterli come una vera ossessione e da impazzire a causa loro. Uno, Dick, disprezzato in vita e saccheggiato in morte visto che molti dei più bei film degli ultimi vent’anni (Blade Runner in testa) traggono sceneggiatura ed ispirazione dalle sue novelle. Mai nessuno però che faccia un film su un suo mini pamplhet bellissimo e misconosciuto, “Se questo mondo vi fa schifo, provate a immaginare come sono tutti gli altri”. Ecco, forse Spielberg e Tom Cruise potrebbero riflettere sul titolo, almeno.
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