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Cile, Boric sarà davvero un leader sociale?
Le premesse ci sono, ma il neopresidente dovrà dimostrare di aver messo davvero nel cassetto le simpatie per il Venezuela di Maduro per lasciare spazio a un'agenda inclusiva a favore dei poveri ed una sacrosanta riforma della sanità che oggi di fatto è quasi solo privata. «La difesa dei diritti umani, un'equa distribuzione della ricchezza, investimenti nella salute e nell’educazione, la fine alla discriminazione e alla violenza contro le donne e più spazio ai popoli indigeni saranno le mie priorità», ha dichiarato subito dopo la vittoria
di Paolo Manzo
La vittoria dell’ex leader studentesco, il 35enne Gabriel Boric alle presidenziali di ieri in Cile era attesa, ma il margine di quasi 12 punti percentuali con cui ha surclassato il suo rivale, l’avvocato 55enne José Antonio Kast, ha sorpreso un po' tutti, inclusi i sondaggisti che prevedevano quasi il pareggio tecnico. Cominciamo col dire che la vittoria di Boric è un bene dal punto di vista per il Cile, a patto che il candidato della coalizione di sinistra Apruebo Dignidad ed il PCC, il partito comunista cileno, ascolti la voce della Chiesa cattolica, ovvero di "governare per tutti i cileni, cercando vie di dialogo, intesa, giustizia e fratellanza”, per usare le parole della Conferenza episcopale cilena, alla vigilia del voto del 19 dicembre scorso.
Un bene che va al di là delle ideologie perché, nonostante la moderazione mostrata nei dibattiti presidenziali dall’ultraconservatore Kast, che aveva vinto a sorpresa il primo turno qualche settimana fa puntando sulla paura verso gli immigrati travestendola da “politica dell'ordine", Boric rappresenta al meglio quella continuità necessaria con le grandi proteste sociali di piazza del 2019, di cui non a caso lui fu uno degli indiscussi leader. Insomma, se il Cile davvero vuole seppellire il suo passato di 17 anni di dittatura e guardare avanti, a partire dalla nuova Costituzione che potrebbe già essere approvata nel 2022, il più giovane presidente di tutta la storia del paese andino ha sicuramente migliori chances di Kast, contrario invece a modificare la Magna Carta che, nelle sue fondamenta, soprattutto in materia economica, è ancora la stessa che approvò Augusto Pinochet Ugarte.
Tra primo turno e secondo turno Boric ha già ampliato la sua base elettorale, includendo il partito socialista cileno che, insieme alla Democrazia Cristiana nella Concertación prima e poi con il Partito Comunista dopo, aveva governato per la maggior parte negli ultimi trent’anni democratici del paese andino. Ora dovrà ulteriormente allargare le sue alleanze perché il suo nuovo governo che entrerà in carica a marzo con le sfide di controllare l'inflazione alta come non mai ed implementare la nuova Costituzione non ha la maggioranza alla Camera. Inclusione sarà dunque la sua parola d’ordine per attirare a sé i parlamentari della DC, del centro e, chissà, anche della destra più moderata.
Come detto, Boric esplode politicamente con le proteste del 2019 durante le quali appoggia le rivendicazioni femministe, indigeniste, indipendentiste ed ambientaliste dei manifestanti, proponendo su tutto un'agenda inclusiva a favore dei poveri ed una sacrosanta riforma della sanità che oggi, in Cile, di fatto è quasi solo privata, al pari delle pensioni. “Il mio impegno di ogni giorno sarà proteggere la democrazia come sostantivo, nei quartieri, con un piede nella strada, perché il palazzo della Moneda (la sede del presidente in Cile) è della gente e le organizzazioni sociali devono essere protagoniste” ha promesso Boric, appena consacrato vincitore del voto di domenica.
Per farlo dovrà per forza di cose dialogare con le tante ong pro diritti umani e la gran parte della società civile che lo ha appoggiato in campagna elettorale, dissipando i dubbi del suo recente passato, quando ha espresso "simpatia" per il regime venezuelano di Nicolás Maduro. Inoltre, visto che la situazione politica, sociale, ed economica in Cile oggi è davvero complessa, anche a causa del Covid-19, Boric dovrà contenere le riforme radicali del Partito Comunista con cui governerà e negoziare con un Parlamento dove oggi non ha una maggioranza. La necessità è quella di ascoltare la voce della società civile, che chiede politiche sociali più attente alle fasce deboli della popolazione, una sfida nuova che, a detta di Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina dove vive dal 2001, "ha come sfondo le tre 'T' di papa Francesco”, ovvero "tierra, techo e trabajo”, terra, casa e lavoro, oltre alla lotta contro la povertà”.
Emblematico che alla vigilia del voto di ieri, più di 300 responsabili comunitari da tutto il Cile avessero firmato una lettera di sostegno al programma di Boric intitolata "Mai più senza leader sociali”. Si tratta delle principali organizzazioni di quartiere e comunità del paese andino che vedono in lui "la speranza che rappresenta il suo programma, dove è in agenda la partecipazione dei cittadini in questioni chiave come la salute, l'istruzione, l'infanzia, gli anziani, la cura, l'ambiente e la diversità sessuale”. È la prima volta dalla caduta di Salvador Allende, nel 1973, che un presidente di sinistra torna alla Moneda e, questo, fa capire che le priorità di Boric, come ha dichiarato lui stesso dopo il trionfo, saranno "la difesa dei diritti umani, un'equa distribuzione della ricchezza, investimenti nella salute e nell’educazione, la fine alla discriminazione e alla violenza contro le donne e più spazio ai popoli indigeni”. La speranza di tutti i cileni è che ci riesca.
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