Famiglia

Ciclone Anne-Marie

di Benedetta Verrini

Un’amica psicologa, esperta di dinamiche del lavoro, mi ha raccontato di aver seguito una madre che aveva rinunciato a una brillante carriera perché una mattina, osservando suo figlio, si era detta: “Chi è questo bambino?”

In quadro più macro, quello del Dipartimento di Stato americano, un’altra madre ha di recente rinunciato alla sua carriera e si è tolta parecchi sassolini dalla scarpa: è Anne Marie Slaughter, di cui si è parlato moltissimo in queste settimane, soprattutto a causa dell’articolo che ha scritto sull’Atlantic e che s’intitola “Why women still can’t have it all”.

Per chi non conoscesse la storia: dopo due anni nello staff della Clinton, la Slaughter si è resa conto di non poter sacrificare i suoi figli pre-adolescenti di 12 e 14 anni sull’altare della carriera. Ha lasciato l’incarico a Washington ed è ritornata a casa a fare quello che faceva prima, ovvero la docente di legge a Princeton.

Anne-Marie mi ha colpita, perché ha detto una serie di cose su cui riflettevo da tempo. Le ha dette con onestà e grande lucidità, parlando soprattutto alle donne della mia generazione (e, in qualche modo, rimproverando quelle della sua, che, pur di non ammainare il vessillo del femminismo, disconoscono il malessere delle più giovani). In sintesi:

1-Le donne non possono avere tutto. Chi vi dice il contrario, sta mentendo. E’ brutto, ma finalmente squarcia l’ipocrisia di tante donne famose e potenti che non vogliono ammettere – per ragioni ideologiche o per questioni d’immagine – di aver compiuto enormi, dolorosi sacrifici. Di aver visto i figli crescere a distanza, esaltando il mito della qualità del tempo rispetto alla quantità.

2-Le donne non possono ancora avere tutto. Non se continuano a lavorare, dice Anne-Marie, senza poter controllare l’organizzazione del loro lavoro: “Lavorando così tante ore sulla base dell’agenda di qualcun altro – scrive – non ho potuto essere contemporaneamente la madre e la professionista che volevo essere”.

Grazie Anne-Marie. Grazie soprattutto perché hai detto di essere cosciente che il tuo problema, una carriera ai massimi livelli, è comunque nulla in confronto agli enormi sacrifici compiuti ogni giorno da milioni di madri che non possono scegliere. Donne normali, che al lavoro non possono comunque rinunciare. Donne a rischio, come le madri single, in cerca di lavoro, compagne di mariti disoccupati. Più in generale, tutte le madri che lottano ogni singolo giorno per far quadrare gli orari dell’ufficio e quelli delle scuole.

La migliore speranza per tutte quante, dice la Slaughter, è quella di colmare finalmente il gap della leadership (eleggere una donna presidente e 50 donne al Senato del Congresso americano; assicurarsi il loro accesso ai vertici delle aziende e della giustizia…). “Sarà il numero di donne a fare la differenza, a operare il cambiamento verso una società che funzioni non solo per tutte le donne, ma per tutti noi”, conclude l’articolo dell’Atlantic. Anche se lei per prima ha gettato la spugna, in qualche modo, continuiamo a sperarci.

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