Welfare

Ciclismo & doping: con l’ecstasy in borraccia

Sport e dipendenze: la storia di Emanuele

di Gabriella Meroni

Se lo ascolti parlare e chiudi gli occhi, ti sembra di stare all?arrivo di un tappone di montagna, con lui che dice affannato: «Ciao mamma, sono arrivato uno». Il tono da ragazzone buono che va in bicicletta, Emanuele non l?ha perso. Solo che le cose che dice sono ben diverse da chi si sente arrivato: «Ce ne sono tanti di ragazzi drogati che mica sanno di esserlo», fa. «Come io». 2 pillole prima, 3 dopo Emanuele ha 24 anni, è di Gallarate e corre in bici da quando ne aveva 12. Dopo sei anni su strada, è passato alla mountain bike. Ma è nell?ambiente delle corse classiche che si è avvicinato alla droga: «A 14 anni gli spinelli, poi, a 17 l?ecstasy», ricorda. «All?inizio prendevo una, due pasticche e già andavo fortissimo. Poi ho aumentato». Dosi da cavallo: due pasticche con il caffè a casa, prima di correre; poi altre tre sciolte nella borraccia. I dirigenti della squadra, se si accorgono di qualcosa, non hanno titoli per dirgli niente: sono loro, infatti, che allungano ai mini-corridori i ?flaconi? con dentro anabolizzanti ed efedrina da bere prima della gara, ma mai in allenamento «se no, ragazzi, non dormite più». Anche Emanuele portava a casa i suoi bei flaconi, ma sua madre, che forse aveva capito tutto, li buttava via. Così va avanti con l?ecstasy, e lo passa anche ai compagni di squadra. E i controlli? Una barzelletta: «Il direttore sportivo sa quando arriva l?antidoping e ti avvisa, così puoi scambiare le tue urine con quelle pulite di un altro», spiega candidamente. Per lui la brutta favola finisce un giorno del 1999, quando incappa in un controllo davvero a sorpresa. «Suo figlio si droga», dirà il dirigente della squadra alla mamma di Emanuele dopo le analisi. Oggi Emanuele vive nella comunità Exodus di Cavriana (in provincia di Mantova), sede del Team Exodus, una squadra ciclistica che conta 2.500 ragazzi, gareggia nei circuiti minori e lo aspetta domenica 2 giugno a Monzambano, nell?alto mantovano, per la sua rentrée senza additivi. Come dimostra questa storia, il doping sta entrando nelle comunità antidroga. «Da due, tre anni vediamo sempre più sportivi», conferma Giovanni Mazzi, nipote di don Antonio e responsabile di una comunità vicino a Verona. La ruota di scorta «Qui abbiamo avuto anche due giocatori di serie A, uno del basket e uno di rugby, eroinomani. Sembra incredibile, eppure giocavano e nessuno si era accorto di niente. Finché un giorno non sono stati male». Storia simile nella comunità di don Gelmini, ad Amelia: «Due anni fa sono venuti a trovarci i giocatori della Roma», racconta Aldo Curiotto, «e a un certo punto vedo che salutano calorosamente un nostro ospite: era un loro compagno delle giovanili, una promessa bruciata. Ma è stato qui anche un campione europeo di ciclismo».


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