Non profit
Cibo per gli homeless. Dal college un’idea vincente
L'avventura nel sociale di Ben Simon, co-fondatore di Food Recovery Network, una start up sociale che recupera avanzi di cibo dalle mense dei college e li ridistribuisce agli homeless.
Pochi anni fa, alcuni studenti dell’Università del Maryland, College Park, hanno notato un problema: un’enorme quantità di avanzi di cibo prodotti nel campus venivano puntualmente gettati. Allo stesso tempo una persona su 8 nell’area di District of Columbia (Washington, D.C ) pativa la fame. Inoltre i rifiuti prodotti all’Università continuavano a riempire le discariche, contribuendo al riscaldamento globale. Cosa fare? Quegli studenti ebbero l’idea di investire i loro fondi ed energie in un’associazione, la Food Recovery Network, il cui scopo è quello di riciclare gli avanzi delle mese dei college e delle università e donarli ai bisognosi. Già nelle prime settimane di attività dell’associazione gli studenti sono riusciti a recuperare 70-90 kili di cibo al giorno. Ogni notte, un gruppo di studenti dedicava un’ora del proprio tempo per recuperare avanzi di cibo da tutte le mense del Campus e successivamente li distribuivano agli homeless di D.C. Entro la fine dell’anno accademico 2011/2012 gli studenti sono riusciti a donare 30mila pasti. A maggio 2014 FRN era presente in ben 95 università e in 26 Stati, da Porto Rico a Washington D.C. e grazie all’operato dei suoi attivisti sono stati recuperati oltre 180mila kg di cibo. Tra questi studenti c’era anche Ben Simon (nella foto), che a Vita.it racconta come è nata questa avventura.
ABC News e Univision ti hanno incoronato tra i migliori 10 imprenditori sociali del 2012. Te lo saresti mai aspettato quando hai iniziato?
Non avevo sogni particolari nel cassetto. Prima di dar vita a Food Recovery Network, ero focalizzato a dare il mio piccolo contributo alla mia comunità senza grosse pretese. Se devo dire la verità non sapevo neppure che fosse il terzo settore e non mi consideravo il valore delle persone impegnate a rendere il mondo un posto migliore. La svolta avvenne dopo i 15 anni, quando ho iniziato a fare del volontariato al liceo. A 17 anni mi sono unito all’organizzazione Students for Global Responsability. Fu un’esperienza che mi ha trasformato, che mi ha insegnato molto anche sulla leadership, sulla comunicazione. Dopo tutto io ero un ragazzo timido, riservato. Quell’esperienza mi fece anche appassionare ai temi sociali come climate change, fame nel mondo, e il genocidio in Darfur. Ricordo che abbiamo raccolto 3 milioni e mezzo di dollari per un progetto in Sudan. Fu anche naturale entrare in contatto con altri giovani che condividevano con me la voglia di impattare su certe tematiche e che in seguito sono diventati co-fondatori di Food Recovery Network.
Qual è stato il momento in cui hai avuto l’idea di lanciare il Food Recovery Network?
Era il 2011 e mi trovavo nella mensa del mio college con alcuni amici. A un certo punto notai che il personale della mensa stava buttando nella spazzatura alcune fette di pizza. In quel momento si è accesa la lampadina. Andammo dall’impiegato della mansa e gli chiedemmo che cosa sarebbe successo al cibo non mangiato. Lui rispose che aveva l’ordine di gettarlo nella spazzatura e che non sapeva altro. A quel punto ci impuntammo e decidemmo di parlare con il suo manager. All’incontro con il manager gli spiegammo la nostra idea. In un primo momento questi fu un po’ titubante. Lo preoccupava il fatto che il cibo poteva finire a persone che non ne avevano bisogno. Alla fine si convinse della validità del progetto e il resto è storia.
Come hai finanziato l’organizzazione?
Ci abbiamo messo i nostri soldi. Non è un’attività con tanti costi. Quello principale è il mantenimento del cibo in appositi contenitori i quali possono contenere 50 pasti. Il costo è 1,50 dollari per contenitore. Quest’anno abbiamo calcolato spese per 450 mila dollari. Le entrate ( fatte di donazioni) coprono le spese fisse e i nostri stipendi che sono molto bassi. Oggi siamo un frinchese. Abbiamo un ufficio nazionale appena fuori Washington. Ci lavorano 12 persone tutte pagate. Sosteniamo anche un Student Movement di 3000 volontari sparsi per tutta l’America.
Questa esperienza come ha cambiato il tuo rapporto con il cibo?
Sto diventando un buongustaio, l’opposto di quello che ero prima di iniziare questa avventura dove mi accontentavo di quello che passava il convento. Con il tempo divento sempre più sofisticato e sempre più vegetariano.
Sprechi a che tu?
Si lo ammetto. Sono una persona molto impegnata e capita di lasciare delle verdure per troppo tempo nel frigo che poi mi tocca buttare via. Diciamo che putroppo c’è uno sprecatore in ognuno di noi.
Dove ti vedi in 5 anni?
Presto andrò in California perchè sto lanciadno un’altra iniziativa sempre nell’ambito del cibo. Ci sono dei tipi di frutta e di ortaggi che non sono venduti perché escono dalla fattoria con una forma anomala, un colore strano, oppure perché a prima vista sembrano bacate o imperfette, ma non lo sono. A me interessa fare in modo che quei prodotti non vengano gettati per colpa del loro aspetto ma che siano rimessi in circolo e distribuiti a un prezzo ridotto. Il progetto si chiama Imperfect: Redefining Beauty in Produce.
Stai visitando l’Expo. Quali aspettative hai?
Sono interessato alla Carta di Milano e sono pronto a confrontarmi con degli innovatori nel mondo del cibo ma anche in altri settori. La mia curiosità è anche rivolta ai nuovi trend del mio settore. Sono anche qui per parlare della nostra mission. Se riuscissimo a redistribuire anche solo il 15% del cibo che viene oggi sprecato negli USA saremmo in grado di ridurre del 50% il numero di americani che soffrono la fame.
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