Non ho nessuna intenzione di scomodare la storia e tanto meno di andare a sfrugugliare nel retrobottega del Vaticano, per interpretare le dimissioni di Benedetto XVI. La Chiesa aveva bisogno di una “lavanda dei piedi”. Molti di noi si aspettavano, speravano, sognavano varie ipotesi.
Eravamo troppo abituati agli annunci fatti e rifatti più volte durante la malattia di Giovanni Paolo II, qualche mezza frase era scappata anche attorno a questo Papa. Le consideravo, almeno io, frasi scontate.
Invece, lo SPIRITO, ha scelto la via più semplice, più rivoluzionaria e più normale: le dimissioni. Sono avvenute. Per me questo è il primo miracolo ma non il più grande ed urgente.
Sgomberato il campo, ora la Chiesa si deve convertire, passare da maestra a madre, da istituzione potente a “casa di tutti”, scendere dal trono e salire sulla barca con il mare in burrasca. Se non avviene questo, il gesto di Ratzinger scade a gesto politico, umano, razionale, logico.
La profezia non è mai logica e un ritorno alla povertà non è mai scaturito da normative burocratiche ed organizzative. Lo Spirito guiderà certamente le coscienze dei Cardinali elettori.
È chiaro che ognuno di noi, specie noi preti poveri ultimi e volentieri dimenticati più dalla gerarchia ecclesiastica che da quella politica, spera in un Papa che venga da lontano, non di Curia, non europeo, non convinto di “possedere lo Spirito Santo”.
Passare da una Chiesa potente, maestra, decisionista, persa dentro a palazzi vergognosamente sontuosi ad una Chiesa povera, che sa ascoltare, che sa liberarsi dalle pesantezze faraoniche, che saprà uscire sulle strade del mondo non per insegnare ma per rischiare, piangere, condividere, camminare verso la terna delle beatitudini e verso il regno della fraternità e dell’unità.
Se il primo gesto del nuovo Papa sarà un Concilio aperto, non burocratico ed accademico, dal quale uscire “risorta e martire”, allora anche il secondo grande miracolo si avvererà.
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