Welfare

Ciak sul conflitto di classe

"Risorse umane", pellicola neorealista di Laurent Cantet, ha costretto i francesi a discutere di orario di lavoro, fabbrica, disoccupazione.

di Antonio Autieri

A sentire la storia, sembrerebbe uno dei tanti film britannici che parlano di operai, fabbriche, disoccupazione, problemi sociali (il cui modello è Ken Loach). Sembrerebbe, se non fosse per il preciso riferimento al dibattito politico-sociale che si è sviluppato in Francia negli ultimi anni sulla questione delle 35 ore (il tetto settimanale di ore previste per contratto per gli operai), poi diventata cavallo di battaglia anche di una parte della sinistra italiana tanto da essere inserita nel programma dell’allora governo Prodi. Certo, in Italia difficilmente riscuoterebbe successo e interesse un nostro film che parlasse di operai e lotte sindacali, con attori presi dalla strada (come pure i nostri registi del primo dopoguerra amavano fare, con risultati altissimi). E forse non diventerebbe nemmeno un caso cinematografico e sociale, capace di scatenare dibattiti e di attirare consensi unanimi, come invece è toccato a Risorse umane, primo film del giovane regista francese Laurent Cantet. Apprezzato regista di cortometraggi, ha scritto poi questa storia ambientata nel mondo del lavoro ed è riuscito a farsela produrre da un canale televisivo culturale orientato al cinema di qualità, il prestigioso Arte.
Risorse umane, infatti, è un film pensato e prodotto (con meno di due miliardi) per la Tv, ma dopo il grande successo riscosso sul piccolo schermo fu deciso di tentare il grande salto nelle sale cinematografiche, dove si è ritagliato un suo spazio. All’inizio di marzo, sarà anche in Italia sulla scia della buona accoglienza al festival di Torino (dove ha vinto il premio Cipputi per il miglior film sul mondo del lavoro).
Il protagonista della pellicola è Frank, ventiduenne figlio di operai che studia economia aziendale a Parigi e che alla fine degli studi torna in Normandia dai genitori per compiere uno stage estivo proprio nella fabbrica dove il padre lavora da trent’anni. Frank è un giovane deciso e sicuro di sé: inserito nella divisione “risorse umane”, è favorevole all’introduzione delle 35 ore nella fabbrica, dove la dirigenza sembra restia a cambiamenti. E proprio nelle trattative con i sindacati su questo tema, che si rivelano molto difficili per l’azienda, Frank si impegna con passione. Poi avverrà la grande disillusione: le 35 ore e il suo stesso lavoro servono a far passare un piano di ristrutturazione aziendale. Conseguenza: il licenziamento di dodici persone, fra cui suo padre. Il quale, abituato da sempre a obbedire in silenzio, accetterà la situazione facendo esplodere un duro confronto con il figlio. Mentre nella fabbrica scioperi e conflitti interni non sono più arginabili.
«Risorse umane è un vivido ritratto della classe operaia e della tensione sociale, rappresentato con uno sguardo», afferma Laurent Cantet , «più umanista che militante, che non mette in secondo piano l’osservazione dei rapporti tra le persone rispetto alla rappresentazione della vertenza sindacale».
Amato dal pubblico e dalla critica, che ne hanno apprezzato la riuscita commistione tra elemento sociale e psicologico-familiare, il film fa scattare un immediato riconoscimento nel pubblico, che in sala applaude a scena aperta le sequenze in cui Frank prende coscienza della dignità sua e degli altri lavoratori. «Il titolo», ha spiegato il regista, «è una reazione al cinismo dell’espressione “risorse umane”. L’umano è gestito allo stesso modo delle giacenze di magazzino o dei capitali… Volevo giocare sul doppio senso e superare l’espressione amministrativa codificata per provare a parlare delle risorse dell’umano». Come già detto, il regista ha scelto solo attori presi dalla strada, per aumentare il senso di verità (l’unico professionista è Jalil Lespert, che interpreta Frank). Quanto agli altri, sono stati presi tra sindacalisti e disoccupati nelle liste di collocamento. A questi ultimi, che hanno perso il posto davvero, girare il film ha fatto un’impressione particolare.

Per fare un buon film ci vogliono 35 ore

Risorse umane è uno di quei film che fa scattare l’identificazione con il pubblico, come dimostrano i tanti commenti rilasciati nei vari forum su Internet: «Questo film ci permette de rimetterci in discussione e di saper essere, quando occorre, combattenti, umili e solidali» scrive un ragazzo di Parigi su AlloCinq. «Gli autori», aggiunge un altro, «sono riusciti a mostrare un pezzo dell’universo quotidiano di ciascuno». Ma anche la critica si è entusiasmata. Per Le Nouvel Observateur il film «È ciò che il cinema francese ha di più vivo, originale». La scelta di attori che recitano se stessi – sottolinea il giornale – dà grande valore anche a testimonianze che pur essendo fiction, «traducono una precarietà professionale reale». Le Monde evidenzia aspetti più strettamente politici: «Il confronto tra quadri e sindacalisti durante una riunione di comitato aziendale è un esempio sintomatico del fossato che si è creato tra le classi sociali. La questione delle 35 ore è un’illustrazione evidente di questo. Il film ha la virtù di rivitalizzare la rappresentazione del lavoro al cinema, superando la regola secondo la quale il cinema sembra condannato a dare del lavoro un’immagine edulcorata». Lapidario, infine, il mensile Première: «Fatto raro: Cantet ha qualcosa da dire, lo dice con una sottile virulenza e dimentica demagogia, buoni sentimenti, didatticismo. La legge sulle 35 ore sarà servita almeno a una cosa: fare un buon film».

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