Non profit

Ciafani (Legambiente): «Cop26? Per ora una delusione»

Le novità che arrivano da Glasgow, dove è si sta tenendo la 26esima conferenza degli Stati firmatari della convenzione Onu sul clima, non sono all’altezza delle aspettative. «Servono soluzioni concrete da mettere in campo subito. E invece non sembra che sarà così», commenta uno sconsolato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente

di Lorenzo Maria Alvaro

Si è aperta a Glasgow, in Scozia, la 26esima conferenza degli Stati firmatari della convenzione Onu sul clima (Cop26). Presenti circa 120 tra capi di Stato e di governo (che partecipano al World Leaders Summit) e delegati di duecento Paesi. Un appuntamento molto atteso. Ma dopo questi primi giorni di lavori sembra che le aspettative verranno frustrate. A dirlo non solo gli attivisti ambientali scesi in piazza in tutta Europa. Per Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente quello scozzese rischia di essere un’occasione persa. L’intervista.


Che bilancio possiamo fare di questa COP26?
Venivamo dalla due giorni di Roma del G20 che, nonostante la conferenza stampa un po’ troppo trionfalistica del premier Draghi, ha stabilito che la neutralizzazione dell’emissione nette di gas serra avverrà intorno alla metà del secolo. Da Glasgow invece arrivano solo tante perplessità. È urgente mettere in campo azioni immediate entro il 2030 e invece non ci sono interventi concreti. L’unica cosa positiva è che è stato stabilito che i Paesi ricchi debbano trasferire ai paesi poveri 100 miliardi di dollari sul biennio 2022/23.

Lei era stato molto duro anche con il G20. Questo fa capire quanto sia deluso…
Dal G20 di Roma ci aspettavamo più risposte e azioni concrete sul fronte della lotta alla crisi climatica. Siamo delusi dal Patto per il clima siglato. Si tratta di un accordo che va a formalizzare quanto già acquisito senza prevedere impegni concreti sulla finanza climatica, a partire dall’Italia che non ha messo sul tavolo il suo giusto contributo – almeno 3 miliardi di euro l’anno – ai 100 miliardi di dollari complessivi promessi a Parigi come impegno collettivo dei Paesi industrializzati per aiutare quelli più poveri nell’azione climatica. L’auspicio era che a Glasgow i grandi del Pianeta riuscissero a trovare un’intesa per arrivare a un nuovo e ambizioso accordo per il clima in grado di mantenere vivo l’obiettivo di 1.5°C dell’Accordo di Parigi, ma anche per accelerare l’adattamento ai cambiamenti climatici, far fronte alle perdite e ai danni delle comunità più colpite dall’emergenza, e soprattutto finanziare adeguatamente l’azione dei paesi poveri e completare il Rulebook, ossia le norme attuative dell’Accordo di Parigi, per renderlo finalmente operativo. Per ora possiamo dire che è una occasione persa.

Qual è il punto più critico della questione?
Per contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C gli anni da qui al 2030 saranno cruciali. In particolare è necessario che l’azione climatica dei governi sia così ambiziosa da consentire una riduzione del 55% delle attuali emissioni al 2030. Per andare incontro alle posizioni più rigide di Cina, India e Russia. Così non c’è il tempo.

Il 2060 è quindi troppo tardi?
Certo, dobbiamo capire che il pianeta non è un elettrodomestico. Non basta spegnere le emissioni e tutto è a posto. Servono azioni immediate entro il 2030 perché servono almeno 20 anni per vedere gli effetti positivi. Su questo non ci sono interventi concreti stabiliti né a Roma né a Glasgow.

L’Italia cosa può fare singolarmente?
Partiamo da un presupposto: il problema o lo si risolve tutti insieme o non lo si risolve. Detto questo sarà fondamentale aggiornare al più presto il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) per garantire una riduzione delle nostre emissioni climalteranti di almeno il 65% entro il 2030, andando ben oltre l’obiettivo del 51% previsto dal PNRR e confermando il phase-out del carbone entro il 2025 senza ricorrere a nuove centrali a gas.


Photo by Adam Marikar on Unsplash

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