Welfare

Ciad: un potere che vacilla nel segno del Darfur

Un ammutinamento, scoppiato lunedì scorso, è stato rapidamente sedato dal regime di Idriss Déby rafforzando comunque i dubbi sulla stabilità del potere in Ciad

di Joshua Massarenti

Al termine di negoziati brevi ma aspri, ieri sera, il governo ciadiano ha dichiarato di aver sedato un ?ammutinamento? scoppiato lunedì scorso e guidato da un gruppo di un?ottantina di soldati ciadiani. Gli ammutinati sarebbero già tornati a N?Djamena dopo che per oltre 24 ore si erano rifugiati nella periferia est della capitale ciadiana, lungo la strada che conduce alla residenza di Idriss Déby, il presidente della Repubblica del Ciad.
Da parte sua, il ministro della difesa ha ribadito che si trattava di un ?semplice ammutinamento? organizzato da militari spinti da ?bisogni sociali?. Cio nonostante, tra i cosiddetti ?semplici? ammutinati, figurano alti ufficiali della Guardia republicana, della Guardia nomade e nazionale del Ciad e, soprattutto, quella ravvicinata dello stesso presidente Déby. Secondo alcuni osservatori ciadiani ed internazionali, i responsabili di queste unite sono tutte figure militari ?molto vicine e fedeli? al capo di Stato. Ciò potrebbe indicare l?inizio di un?aperta contestazione all?interno della prima cerchia del potere di Déby. Il che fa pensare che, così come lo lasciano intuire i principali quotidiani francesi, si potrebbe in realtà trattare di un vero e proprio ?colpo di stato?.
Il fatto che tra gli ?ammutinati? vi fossero dei membri della guardia presidenziale, a maggioranza Zaghawa, privilegia l?ipotesi di un malcontento interno nei confronti della politica estera condotta da Déby, con riferimenti piuttosto chiari alla crisi del Darfur (Sudan).
Da mesi, gli Zaghawa del Ciad accusano Déby di non essersi abbastanza implicato nella guerra civile che dal gennaio 2003 vede i loro ?cugini? zaghawa presenti in territorio sudanese essere oggetti di persecuzioni sistematiche da parte delle milizie arabe Janjawid, a loro volta sostenute dal regime centrale arabo-musulmano di Khartum (capitale del Sudan). Nell?aprile scorso, sotto la presidenza di Déby, i movimenti ribelli del Darfur hanno firmato un accordo di cessate il fuoco con il potere centrale sudanese. L?accordo è stato da sempre considerato determinante per per porre fine allo scontro che da oltre cinquant?anni vede opposti Khartum e lo SPLA, un movimento ribelle cristiano capeggiato da John Garang.
Per una questione legata alle risorse petrolifere del Darfur, i ribelli zaghawa avevano chiesto a Khartum di ottenere una certa quota dei benefici derivati dallo sfruttamento di questo petrolio, ottenendo un secco rifiuto di El Bechir, attuale presidente del Sudan. Così, i ribelli decisero di prendere le armi per ritardare il processo di pace tra Khartum e lo SPLA e continuare a destabilizzare il paese.
Sul versante ciadiano, prevale una tutt?altra lettura della guerra civile sudanese: una maggioranza di ribelli del Sudan, neri e musulmani, appartiene all?etnia del presidente Déby, ovvero gli zaghawa presenti in entrambi i lati della frontiera sudano-ciadiana. Ora, questi ribelli sono perseguitati da Khartum. Quindi appare naturale intervenire in loro aiuto.
Ciò mette in serie difficoltà Déby, vicino a Khartum e nel contempo cosciente che riuscì a conquistare il potere ciadiano nel 1990 partendo proprio dal Darfur con il sostegno degli zaghawa. Al loro presidente, alcuni ufficiali dell?esercito ciadiano rimproverano una posizione troppo ambigua sul Darfur. Non a caso, fino a ieri sera i ?putchisti? o gli ?ammutinati? esigevano un intervento dell?esercito militare ciadiano nel Darfur per porre un termine ad una guerra che in poco più di un anno ha fatto 10.000 vittime, provocando un milione di sfollati e 100.000 profughi nel Ciad.

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