Monsignor Michele Russo, vescovo di Doba, è stato invitato a lasciare il Ciad. Le autorità di N’Djamena hanno motivato la decisione spiegando che il missionario comboniano avrebbe svolto “attività incompatibili con il suo ruolo”. Tutto questo perché il presule avrebbe pronunciato un’omelia, lo scorso 30 settembre, diffusa da un’emittente privata, in cui criticava la gestione iniqua del proventi del petrolio ciadiano, denunciando il fatto che la popolazione locale viva nell’indigenza. Dietro questa vicenda si celano gli interessi sia della nomenclatura politica locale, ma anche delle compagnie petrolifere, che già da tempo guardavano con sospetto al presule da sempre impegnato nel “dare voce a chi non ha voce”. Il paradosso è evidente d’altronde: il Ciad produce in media 120.000 barili al giorno e le entrate provenienti dal petrolio sono servite per modernizzare soprattutto l’esercito e realizzare qualche opera pubblica. Ma già da tempo, diversi esponenti della società civile chiedono al governo di investire gli introiti prima di tutto per migliorare le condizioni di vita dei cittadini. Un’istanza più che legittima, considerando che le autorità locali si erano impegnate a investire il 70% delle entrate petrolifere nella riduzione della povertà. Cosa che in effetti è avvenuta in modo irrisorio a causa di una diffusa corruzione. A monsignor Russo tutta la mia solidarietà!
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