Salute

Ciad, guarda alla salute un nuovo progetto di cooperazione

L’Università degli Studi di Roma Tor Vergata con la Fondazione Magis e l’Istituto per i Sistemi Biologici del Cnr protagonisti del progetto finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo che, con un approccio “One Health”, ha l’obiettivo in 3 anni è di curare 4mila persone, che finalmente avranno accesso al diritto fondamentale alla salute di qualità. Potenziata anche la ricerca sulle piante medicinali

di Redazione

Formazione e innovazione tecnologica sono i due capisaldi del nuovo progetto di cooperazione che l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, in cordata con altre realtà italiane e internazionali, ha elaborato con l’obiettivo di migliorare la salute degli abitanti del Ciad, Paese dell’Africa centrale con una situazione economica, sociale e sanitaria molto fragile. Il progetto punta a rendere il Servizio Sanitario Nazionale del Ciad più efficiente, moderno e attento alle fasce deboli della popolazione attraverso la formazione medica specialistica e la creazione di nuovi servizi ospedalieri basati su tecnologie moderne.

Forte la collaborazione tra gli enti in rete: in prima linea l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata insieme alla Fondazione Magis (ong dei gesuiti con sede a Roma e presente in Ciad) e all’Istituto per i Sistemi Biologici (Isb) del Centro Nazionale Ricerche (Cnr), che collaborano con i due ospedali presenti nella capitale N’Djamena: l’Ospedale Universitario di Riferimento Nazionale e l’Ospedale Universitario Le Bon Samaritain.
Il progetto è finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo- Aics di Khartoum e gode della stretta collaborazione con il ministero della Salute del Ciad, che lo ha inserito nel Piano di Politica Nazionale Sanitaria 2016-2030.

L’iniziativa dal titolo “Progetto Sanità Italia-Ciad: Formazione e Innovazione Tecnologica Aid 12582” è stato infatti presentato il mese scorso al ministro della Salute e della Solidarietà Nazionale ciadiano Abdelmadjid Abderahim da una delegazione italiana in missione in Ciad, guidata da Giuseppe Tisone, professore ordinario di Chirurgia Generale e direttore della Scuola di Specializzazione di Chirurgia Generale all’Università di Roma Tor Vergata.
«L’incontro con il ministro è stato un primo passo molto importante», racconta Tisone. «L’obiettivo della nostra missione è stato verificare sul campo la reale fattibilità del progetto. La visita agli ospedali locali ci ha confermato una situazione di arretratezza di strutture e strumentazioni mediche, motivo per cui intendiamo procedere parallelamente con la formazione, sia in Italia sia in Ciad, e con la ristrutturazione del gruppo operatorio. Per questo secondo aspetto è stato fondamentale l’incontro con il ministro, rimasto soddisfatto delle nostre proposte, poiché la consapevolezza da parte del governo di dover rafforzare il Sistema Sanitario è necessaria per avviare concretamente un processo di rinnovamento».

Dal punto di vista sanitario, il Ciad presenta un quadro di grande fragilità, basti pensare che l’Oms ha fissato la soglia di 23 medici e infermieri disponibili ogni 10mila abitanti; e in Ciad ci sono solo 0,4 medici ogni 10mila abitanti, cioè su una popolazione di 17 milioni di persone si contano 5mila infermieri e solo 700 medici.
Nel concreto il progetto prevede in 3 anni il potenziamento delle competenze e delle infrastrutture per migliorare i servizi ospedalieri, con l’obiettivo di raggiungere nel complesso 4mila pazienti, che avranno così la possibilità di accedere alle cure, cioè di accedere al diritto fondamentale alla salute di qualità finora negato. Le azioni previste sono localizzate nella capitale N’Djamena, cioè nell’Ospedale Universitario di Riferimento Nazionale e nell’Ospedale Universitario Le Bon Samaritain, ma si prevedono ricadute su tutto il Paese.

Il progetto ha un approccio “One Health”, ovvero un approccio integrato, fondato sulla collaborazione, che punta a bilanciare in modo sostenibile la salute di persone, animali e ambiente, ovvero i 3 regni che devono essere in equilibrio per raggiungere la salute globale, nella consapevolezza che la variazione di uno modifica anche gli altri. «Un approccio molto sentito in Ciad, dove l’uomo è molto più a contatto con la natura e gli animali rispetto ai Paesi più sviluppati. È questo infatti un insegnamento che i ciadiani danno a noi italiani, e noi in cambio offriamo gli strumenti adeguati per migliorare le cure. Questo è il valore aggiunto della cooperazione», commenta il capo progetto Vittorio Colizzi, docente di Immunologia e Patologia all’Università di Roma Tor Vergata.

Nel dettaglio, il progetto consiste nel potenziamento della formazione dei medici ciadiani attraverso percorsi di studio di perfezionamento, borse di studio e stage, missioni in loco e insegnamento in videoconferenza da parte di docenti italiani. Parallelamente avviene il rafforzamento di piattaforme tecnologiche, innovative per il Ciad, cioè l’insieme di strumentazioni, protocolli, materiali e software che garantiscono il funzionamento complesso di piattaforme diagnostiche, cliniche e chirurgiche. Il doppio potenziamento delle competenze e delle infrastrutture permette di migliorare e creare nuovi servizi ospedalieri: Chirurgia Laparoscopica, Servizio cardiologico (Ecg e ecocardiografia), Servizio gastro-epatologico.

In questi ambiti si prevede anche il rinnovamento delle Scuole di specializzazione, affidato a docenti italiani in mission in Ciad. Al termine del percorso di studi, saranno selezionati cinque specializzandi per stage di perfezionamento in Italia all’Università di Roma Tor Vergata.

Un’altra area di studio importante del progetto riguarda la ricerca sulle piante medicinali per comprenderne le proprietà curative e gli effetti benefici sulla salute. «Nell’attuale contesto del Ciad, l’80% della popolazione si cura con le piante, mentre solo il restante 20% si avvicina alle medicine occidentali. In realtà non possono essere considerate due medicine alternative, bensì complementari, sempre nell’ottica dell’approccio One Health e quindi del rispetto dell’ambiente» racconta Colizzi. «Ci sono dati scientifici che dimostrano che alcune piante sono importanti alleate nella prevenzione poiché contengono nel loro genoma (microRNA) dei tratti genici tipici anche dell’uomo dove, se assenti, le piante possono supplire».

Nell'immagine in apertura la formazione di medici e infermieri con il professor Colizzi

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.