Cultura

“Ci sarà mai un papa che ami l’Africa come lui?”

"Ha indicato la strada della pace. Ha spinto la maggioranza della popolazione a crederci, nonostante la guerra civile. Intervista a Domitien Ndayizeye.

di Joshua Massarenti

E’ un Paese profondamente cattolico il suo. Ma è un Paese travagliato da decenni di conflitti sanguinosi, l?ultimo dei quali, risalente al 1993, ha fatto oltre 300mila vittime. Assumendo nell?aprile 2003 la più alta carica politica del Burundi, il presidente Domitien Ndayizeye è riuscito a traghettare il suo popolo verso lidi più pacifici. La fede cattolica non è di certo rimasta estranea al successo riscontrato presso i cittadini burundesi (sia hutu che tutsi) da questo pacato protagonista della vita politica burundese, da sempre impegnato nella difesa dei diritti umani. «Prima di agire bisogna credere», assicura Ndayizeye in un?intervista rilasciata in esclusiva a Vita in cui esprime tutto il suo dolore per la perdita di Papa Giovanni Paolo II e la speranza di vedere il suo successore, «africano o extrafricano che sia», nutrire la «stessa attenzione e sensibilità per le sorti del Burundi e del nostro continente». Vita: Signor presidente, quali sono state le sue reazioni all?annuncio della morte di Papa Giovanni Paolo II? Domitien Ndayizeye: Innanzitutto, ho ammirato il modo con cui il suo entourage ha gestito gli ultimi momenti di Sua Santità. Momenti di fronte ai quali mi sono trovato in forte imbarazzo. Da un lato, ero deluso nel vedere qualcuno lasciarci in modo molto progressivo. «Perché», mi sono chiesto, «gli eventi devono prendere questa piega allorquando si tratta di una personalità che dovrebbe vivere ancora a lungo?». Perché Giovanni Paolo II è stato un Papa che ha nutrito un interesse profondo per il mio Paese, per il continente africano e per il mondo degli esseri umani. All?annuncio della sua morte, io e mia moglie ci siamo inginocchiati. Per pregare. «Avremo qualcuno come lui?». Vita: Lei ha avuto modo di conoscerlo personalmente? Ndayizeye: Sì, risale al marzo del 2002, presso la Santa Sede. Vita: Che cosa l?ha colpita del suo incontro con il Papa? Ndayizeye: Il suo profondo amore per il mio Paese. La prima cosa che mi ha detto è stata la seguente: «Preghiamo per il Burundi. Preghiamo per un ritorno della pace in Burundi. Preghiamo affinché il Burundi esca dalla povertà». Il nostro Paese era da anni alla ricerca di una pace duramente negoziata. E la guerra in Burundi è stata per il Papa fonte di grande preoccupazione. Non c?è dubbio che la sua figura rimane un?eccezione perché con questa sua trasparenza, e al di là del suo credo cattolico, si occupava nel concreto delle preoccupazioni quotidiane della gente. Vita: Giovanni Paolo II si è molto impegnato per il continente africano. Come giudica il suo operato? Ndayizeye: Il suo impegno in Africa è stato l?impegno di qualcuno desideroso di vedere l?Africa uscire dal suo stato di povertà generalizzato. Nel contempo era convinto di poter trarre il continente africano dalla miseria. Ci vuole un carattere fortissimo per impegnarsi in questo tipo di sfide. Ed era questo il suo tratto più essenziale. Non si limitava a pregare. Riusciva a entrare nella vita pratica delle persone. Lo si può percepire nei vari spostamenti che ha compiuto nel mondo. Nei Paesi sviluppati per sensibilizzarli a occuparsi dei poveri, e nei Paesi in via di sviluppo per stare vicino ai più disagiati, ai dimenticati richiamando nel contempo la loro attenzione a rispettare l?altro. Vita: Per quanto riguarda il suo Paese? Ndayizeye: Il Burundi è un Paese a forte maggioranza cattolica, a sua volta affiancata da musulmani e protestanti. Quando vedo l?evoluzione dei rapporti fra queste comunità, credo che Giovanni Paolo II sia riuscito a imporre una certa convivenza tra questi tre credi religiosi. Il suo passaggio in Burundi era ispirato da questa visione di unità. Non a caso, da questa sua visita, nel nostro Paese c?è una tradizione che durante le grandi occasioni vede i rappresentanti di queste tre religioni riunirsi per pregare insieme. Prima questo non esisteva. C?era una certa diffidenza. Oggi è come se fossero un tutt?uno davanti a Dio. Certo, anche se il credo religioso non ha impedito la guerra civile nel nostro Paese. Vita: Questo significa che la visita del Papa in Burundi non ha dato i frutti sperati? Ndayizeye: Di sicuro ha spinto la maggioranza dei burundesi a credere nella pace. Nonostante la guerra, ha permesso l?avvento della democrazia nel mio Paese. Così come ha rafforzato la convivialità tra i giovani. Questo è rimasto nella mente dei burundesi. Vita: C?è un fatto che ha segnato il suo passaggio in terre burundesi? Ndayizeye: È la prima pietra che ha deposto per la chiesa di Mont Sion, qui a Bujumbura. Da allora, questa chiesa è diventata un luogo di pellegrinaggio per tutti i burundesi. Io stesso ci vado regolarmente a messa. Vita: Nei prossimi giorni, i cardinali del Sacro Collegio saranno chiamati a eleggere il prossimo Papa. Nei media panafricani si spera nella nomina di un Papa africano. È anche una sua speranza? Ndayizeye: Personalmente, spero che i cardinali votino una persona capace di proseguire l?opera di Giovanni Paolo II. Ed è solo nella continuità del suo operato che assisterò alla nomina del suo successore. Che sia africano, europeo o nordamericano non è la cosa più importante. L?essenziale è l?arrivo di un Papa in grado di affrontare le nuove sfide del mondo. Vita: Che cosa chiede al prossimo Papa rispetto alla stabilizzazione della pace in Burundi e nella regione? Ndayizeye: Il Santo Padre deve incoraggiare la comunità internazionale a sostenere l?attuale processo di pace in Burundi. Da tutti i punti di vista: morale, politico e soprattutto materiale. Credo che siamo sulla via giusta grazie anche all?appoggio della comunità internazionale. Pari modo, dovrà far sì che la comunità dei cristiani ci aiuti a mantenere la rotta perché è necessario credere prima di agire. Sono molto felice del fatto che oggi la Chiesa cattolica ci aiuti molto. E deve andare avanti su questa strada perché finalmente i burundesi si sono resi conto che è inutile mettere a repentaglio il bene comune. Vita: Signor presidente, lei appartiene a una famiglia cattolica? Ndayizeye: No. Diciamo che qui in Burundi all?inizio le famiglie hanno, sul piano religioso, un grande ruolo educativo nell?immergere i figli nella propria fede. E non solo portandoli a messa, ma soprattutto nella pratica quotidiana. Per quanto riguarda le confessioni religiose, c?è una tale trasparenza nel nostro Paese che non credo che vi sia un imprigionamento dei burundesi in una determinata fede religiosa. Ogni burundese ha il diritto di cambiare credo quando lo desidera. Oggi è quello che si sta verificando. Tant?è che sono numerosi i burundesi che si battezzano tardivamente. Si è automaticamente cristiani perché i propri genitori lo sono? Sì e no, dipende dalla scelta individuale. Credo che quando si è adulti si può scegliere. Il fatto che in Burundi vi siano molti cristiani è la prova che nel nostro Paese si sposa una fede con una forte convinzione. Vita: Cosa significa essere cattolico in un Paese africano come il Burundi? Ndayizeye: Essere cattolico in Burundi significa essere tollerante, credente e cercare il bene del prossimo. Oggi, più che ieri, i burundesi ne sono convinti perché nel passato il desiderio di pace ci è venuto a mancare. Ci siamo fatti molto male. Eppure, dall?indipendenza fino agli anni 60, più volte i burundesi si erano messi a sperare in questa pace. Ma poi hanno perso totalmente la testa. Oggi, stanno rimediando gli errori del passato diventando più tolleranti gli uni nei confronti degli altri. In qualche modo, è la materializzazione di una riconciliazione che attualmente si sta verificando. Questo è quanto vedo nel Paese.


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