Migranti
Ci risiamo, colonialismo sulla pelle degli ultimi
La “dottrina Meloni” non esiste, esiste invece una pessima deriva europea di cui la destra italiana è oggi parte integrante. La dottrina dell'esternalizzazione delle frontiere è ormai datata. Cosa c’è di nuovo e di sbagliato negli accordi con l'Albania di Giorgia Meloni? Oltre l’evidente disumanità del gesto, la assoluta mediocrità del pensiero strategico di una nazione moderna e democratica. Ecco perchè
Dobbiamo essere onesti, la “dottrina Meloni” non esiste, esiste invece una pessima deriva europea di cui la destra italiana è oggi parte integrante. Di esternalizzazione delle frontiere ne hanno parlato da anni diversi governi di diversi colori di tanti stati membri della UE (rivolgendosi alla Libia, al Niger o addirittura al povero Rwanda). Come hanno ben spiegato gli esperti di Magistratura Democratica, già due anni fa, questa prassi paradossale dell’esternalizzazione è ormai un pezzo del diritto internazionale materiale concernente “quei processi attraverso i quali gli Stati di destinazione dei flussi migratori ne realizzano extra-territorialmente la gestione. Ciò avviene di regola spostando le procedure di controllo al di fuori del proprio territorio o trasferendo la responsabilità della gestione dei flussi in capo a soggetti terzi, sia statali che non. In termini generalissimi, l’esternalizzazione non disturba l’internazionalista in quanto tale, ma nella misura in cui è attuata attraverso forme e modalità dubbie”.
Albania tappeto sotto cui nascondere gli ultimi
Lo stesso Edi Rama, premier albanese che ha firmato sornione un accordo nuovo di zecca con l’Italia, il suo principale sponsor europeo, ha fatto intendere con parole chiare che l’asta sul suo paese per il ruolo di” nuovo tappeto in cui nascondere la polvere” (gli ultimi della terra) era già in corso da tempo, più o meno segretamente, ma che egli ha deciso, bontà sua, di non cadere nelle mani di altri corteggiatori, concedendosi solo a noi “in segno di riconoscenza ed amicizia”. Per amicizia l’Albania si allea dunque al volto crudele della pratica italica dei respingimenti e dei Cpr, prestando le sue braccia e la sua polizia.
L’esternalizzazione è stata di fatto praticata dalla stessa UE che ha finanziato negli ultimi dieci anni, con miliardi di euro, un governo di dubbia democrazia, come quello turco di Erdogan, per la gestione di migranti in fuga da guerre terribili e lunghe, ma anche da paesi liberticidi come l’Iran, mentre bellamente e impunemente prova a piegare la minoranza curda ovunque sia, Siria compresa. In queste gestioni extra territoriali si compie un paradosso ed un triplice salto mortale: l’Europa mette alla porta interi stati candidati, come la Turchia e l’Albania, che sono in fila da anni nella speranza di poter entrare nella comunità politica del vecchio continente, eppure, non potendo rifiutare il diritto di asilo, e l’istruttoria che lo precede, a causa della sua normativa interna e per i trattati internazionali a cui aderisce, chiede proprio a chi non fa entrare nell’UE (per la colpa di non aver superato gli opportuni vagli sul fronte dei diritti umani e dell’organizzazione dello Stato) di trattenere alla porta coloro che vogliono entrare sui territori degli Stati membri.
Cosa c’è di sbagliato nell’accordo Meloni-Rama?
Cosa c’è di nuovo e di sbagliato dunque in questi accordi di Giorgia Meloni ? A mio modesto parere, oltre l’evidente disumanità del gesto, la assoluta mediocrità del pensiero strategico di una nazione moderna e democratica. Da sempre le nazioni che hanno gestito bene le accoglienze dei flussi migratori hanno fatto crescere le loro fortune, basterebbe pensare agli USA dei primi anni del ‘900 ed alla Germania Ovest del dopoguerra. Due esempi fulgidi di come economie emergenti o in ginocchio sono rinate dalla grande capacità di essere accoglienti. Come si legge con orgoglio nella targhe del museo di Ellis Island a New York, dei circa 12 milioni di persone che arrivarono su quelle banchine in meno di quarant’anni tra il 1880 ed il 1920, meno del 2% furono crudelmente mandati indietro, spesso solo per ragioni di salute ed infermità. E non deve essere un caso se la morte di Toto Cotugno è stata avvertita più tra i suoi fan italo-tedeschi che in Italia. Perché “Sono un italiano” era un inno per chi aveva fatto fortuna con il food o nelle fabbriche o per chi ancora la cercava tra Bonn e Dusseldorf. Italiani che facevano contemporaneamente la loro fortuna e quella del paese che li accoglieva.
Noi che oggi, nel terzo millennio, diventiamo meta di importanti flussi migratori di donne e uomini di pace, e non di legioni straniere, noi che siamo terra sognata da giovani, famiglie, minori, noi oggi con questi astrusi accordi ( a proposito : come si dividono gli abili dai disabili salvati in mare tra Italia ed Albania?) volgiamo lo sguardo all’indietro, ed invece di aprire le porte al futuro, ci chiudiamo in una posizione mortifera. Quanti sono i giovani che sognano il Sud Italia come meta delle loro esistenze? Questi giovani che arrivano dall’Africa o dall’Asia si, lo sognano.
Un terra che non è sognata non ha futuro
Un terra che non è sognata non ha futuro. In un paese in cui le aree interne del paese occupano più del 51% fisico dello stivale e sono abitate da meno del 15% della popolazione totale, essere desiderate è una grandissima fortuna. Dovremmo tenercela stretta perché nessuna pala eolica ci darà la stessa energia rinnovabile di relazioni umane che si riaccendono.
Nei Piccoli Comuni del Welcome, come ho provato a raccontare anche in Welfare Meridiano, abbiamo visto rivivere piazze abbandonate, case dimesse (oltre 8 milioni in Italia!), terre incolte, beni pubblici in stato di degrado. Gli anziani che si sono presi cura dell’infanzia e della gioventù arrivata dalle sponde opposte del Mediterraneo sono rinati in spirito e giovinezza e le famiglie e le persone accolte hanno a loro volta offerto il loro entusiasmo per la costruzione di nuove comunità dove ogni speranza di futuro sembrava affievolirsi. E per farlo abbiamo uno strumento straordinario, invidiato in tutta Europa, frutto del genio dei Comuni e del nostro diritto italico, il SAI, il sistema di accoglienza ed integrazione diffusa, dove però ancora arrivano meno del 30% dei migranti accolti in Italia, mentre oltre il 70% viene in confinato in inutili CAS delle Prefetture.
Portare le frontiere in Albania sa solo di vecchio colonialismo, quel colonialismo da cui ci siamo salvati nel ‘900 non imponendo a larghe fette della popolazione africana il nostro volto violento come hanno fatto francesi, inglesi, spagnoli e belgi, che ancora oggi pagano lo scotto di quelle violenze, venendo spesso odiati da interi popoli che hanno memoria di quella coscienza sporca europea.
Noi abbiamo la fortuna di non essere ancora odiati, potremmo essere leader del Mediterraneo e del nuovo continente Eurafricano, che i geografi e i demografi ci dicono arriverà nel giro di due, tre, generazioni, che vantaggio ci da invece tuffarci nel passato? Per chi stiamo spendendo i miliardi di euro presi a prestito della Next Generation EU, se respingiamo migliaia di giovani? Alla fine ci troveremo solo il rancore di chi ricorderà quel giorno in cui un governo ricco, settima potenza mondiale, ha chiuso le porte in mare dividendo come in un crudele “game” gli sbarcati ( quelli che arrivano autonomamente sulle nostre spiagge) dai salvati ( quelli che le navi delle ONG hanno recuperato dal mare evitando altre morti ed altro dolore).
Di tutto questo dolore provocato l’Africa del futuro ce ne chiederà conto così come, per altre ragioni, anche l’Albania che oggi si presta per il lavoro di servitore sciocco del sovranismo.
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