Cultura
Ci riducono in bolletta
Consumi Si parla di liberalizzazione, ma il settore tariffario è una giungla in cui a pagare è il cittadino
di Marco Piazza
Guadagnare soldi grazie alla burocrazia e al caos legislativo. Se lo fa un amministratore corrotto non è una notizia. Se invece ci pensa un?azienda che si occupa di consumi energetici la cosa diventa interessante. Soprattutto se la stessa azienda grazie alla burocrazia, oltre che ad accrescere il proprio fatturato riesce anche a ridurre i costi di altre imprese. Col beneplacito dell?amministrazione pubblica, che essendo dalla parte del torto deve limitarsi a mantenere una sorta di omertà sulla questione, nella speranza che non se ne accorga nessuno.
Meglio spiegare subito che si parla di energia elettrica, acqua, gas metano e telecomunicazioni. Costi con i quali ciascuna famiglia, ma anche ciascuna impresa (privata, pubblica o non profit che sia) deve fare i conti almeno una volta ogni due mesi. Ultimamente di cose del genere si parla spesso, vuoi perché si è scoperto che noi italiani paghiamo le tariffe più alte del mondo per elettricità e gas (e fra le più alte per acqua e telecomunicazioni), vuoi per la privatizzazione della Telecom, gli scontri politici sull?Enel o l?ingresso in Europa, con la supposta spinta verso la definitiva liberalizzazione delle tariffe. Qui però non parliamo di politica economica, ma di bollette vere e proprie. E gonfiate.
Stando a quanto dice la Nus (National utility service), impresa che dagli anni ?30 negli Usa e dal 1973 in Italia si dedica al risparmio energetico, e stando anche a quanto sono costrette a confermare l?Autorità sull?energia e l?Enel, i costi energetici di moltissime aziende italiane potrebbero essere notevolmente ridotti. Basterebbe rinegoziare i contratti di fornitura ed adattarli alle proprie esigenze.
«Noi ci occupiamo solo di aziende che spendono in consumi energetici almeno 70 milioni ogni anno e comunque la possibilità di risparmio non riguarda le utenze domestiche», esordisce il direttore commerciale della Nus Italia, Walter Bagnato. «Detto questo bisogna sottolineare come le aziende italiane, abituate a un sistema monopolistico in cui per ogni tipo di energia c?è un solo erogatore, pensano più al fabbisogno complessivo che al modo di utilizzazione. Spesso poi non sanno neanche che in base all?articolo 2597 del codice civile esiste la possibilità di trattare le condizioni di fornitura».
Un esempio. Prendiamo due aziende, una che produce mobili in Brianza, un?altra che fabbrica gelati a Frosinone, che abbiano un consumo uguale di energia elettrica. Non è detto che debbano fare lo stesso contratto. Una potrebbe avere un consumo costante di energia, l?altra invece potrebbe concentrarlo in una parte della giornata. La qualità è uguale, la modalità è diversa e quindi si possono firmare contratti differenti. «Ma non finisce qui», aggiunge Bagnato, «molto dipende infatti da come i funzionari delle varie Enel o Italgas interpretano la legge. Abbiamo avuto come cliente un?azienda agroalimentare con tre stabilimenti in tre diverse regioni italiane, che per lo stesso tipo di attività aveva tre contratti diversi». Cosa fare allora?
La Nus, che dal 1973 a oggi ha individuato spese non dovute pari a 350 miliardi di lire, si presenta all?azienda, controlla i contratti di erogazione e ?offre? la sua mediazione per rinegoziare i contratti in cambio di una quota fissa da pagare subito e di una percentuale sui risparmi. Per convincere il potenziale cliente mostra come curriculum tutti i casi ?risolti?. Come quello di un ospedale che spendeva 400 milioni l?anno in energia e che dopo il suo intervento ne ha risparmiati 60 (il 15 per cento).
Riassumendo: la legge sulle tariffe è di difficile interpretazione, l?Enel (o chi per lui), per non sbagliare fa sempre pagare il massimo e le aziende, ignare, perdono miliardi. Di chi è la colpa? «Certo non dell?ente erogatore», dicono all?Enel. «Ci sono normative che non sono chiare e che danno adito a interpretazioni di tipo diverso. A noi chiedono un tipo di utenza per un tot di consumo. Noi non facciamo altro che applicarla». Del resto, lo stesso Franco Tatò, che dell?Enel è amministratore delegato, ha recentemente dichiarato: «Se si vuol rendere più competitivo l?intero sistema elettrico occorre rivoluzionare le tariffe, che oggi sono una giungla di privilegi e di vessazioni».
L?Enel ammette, ma si tira fuori. A questo punto resta da sentire l?amministrazione. Non più il ministero dell?Industria, ma direttamente l?Autorità per l?energia, (l?ente creato per fare ordine e preparare il terreno alla privatizzazione) che dal 23 aprile scorso emette materialmente le tariffe. Anche qui si riconosce in sostanza che il settore tariffe è governato dal caos. Ma qualcosa sta cambiando.
«Dal 1 luglio abbiamo inglobato in tariffa tutti i sovraprezzi che si erano stratificati nel tempo, col risultato di operare una riduzione minima (1 lira, ndr) e soprattutto di cominciare a fare ordine». La grande novità è però un?altra. «I rimborsi dei costi di combustibili per la produzione dell?energia elettrica, riconosciuti all?Enel e alle altre municipalizzate erogatrici, vengono adesso calcolati in base alla media dei costi dei combustibili internazionali. Ora quindi Enel e gli altri sono indotte a migliorare la politica degli acquisti e l?efficienza degli impianti, perché se riescono a tenere i costi sotto la media hanno un guadagno, altrimenti perdono».
E gli utenti? «La transizione verso il mercato», si legge nel testo dell?audizione dell?Autorità per l?energia di fronte alla commissione Attività produttive della Camera, «impone di essere capaci di dare agli utenti un segnale corretto sul costo del servizio che acquistano». Se alle parole seguiranno anche fatti, per chi guadagna sulla mala-burocrazia le cose si complicheranno notevolmente. ?
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