Sostenibilità
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Consumatori, il gioco si fa duro/ Inchiesta: Un anno di svolta per il consumerismo italiano
Strano destino, quello delle associazioni dei consumatori. Nemmeno il tempo di cantare vittoria per l?approvazione di una legge, quella sulla class action, che le mette, come mai prima, al centro della scena ed ecco che partono le bordate. Corriere della sera, 29 dicembre: «Consumatori fantasma», il titolo di un dossier di due pagine. L?accusa è esplicita: le associazioni hanno un problema di rappresentanza, i numeri degli iscritti che dichiarano sono gonfiati ad arte per ottenere i finanziamenti pubblici (una torta da 47 milioni in 5 anni). Due pagine sul più grande quotidiano italiano ed ecco che il mondo del consumerismo, in un baleno, si trova a passare dall?euforia per un risultato legislativo importante alla fastidiosa sensazione di trovarsi sul banco degli imputati..
Anna Bartolini, storica esponente del consumerismo italiano, oggi rappresentante italiana nel Consiglio europeo dei consumatori, vi intravede un disegno preciso: «Stanno tentando di screditare il mondo delle associazioni per bloccare la class action in Italia». La pensano come lei la maggior parte dei presidenti delle principali sigle associative, interpellati da Vita, che vedono dietro le righe del Corriere l?ombra di Confindustria, da sempre fieramente contraria all?introduzione del risarcimento collettivo nel nostro ordinamento.
Trasparenza cercasi
Accontentarsi di questa spiegazione, tuttavia, non farebbe bene in primo luogo al mondo del consumerismo. Perché, sebbene il ministero dello Sviluppo economico, per bocca di Gianfrancesco Romeo, vicedirettore della Dipartimento per la regolazione del mercato, garantisca la «massima vigilanza e accuratezza nei controlli dei requisiti», il problema della trasparenza legato al meccanismo che regola l?accreditamento (e quindi l?accesso ai finanziamenti pubblici) delle associazioni a livello nazionale è sentito, lo riconoscono gli stessi dirigenti. Antonio Longo, presidente del Movimento difesa del cittadino, per esempio, dice senza mezzi termini che «i criteri odierni per l?accreditamento sono, per dirla con un gioco di parole, sostanzialmente formali». Inevitabile, quindi, che ci sia chi mette in dubbio i numeri forniti dalle associazioni (si va dai 29mila iscritti del Codacons ai 126mila di Adiconsum, passando per i 77mila di Fedeconsumatori, i 70mila de La Casa del Consumatore, i 33mila di Codici?). Ermete Realacci, deputato della Margherita, oggi presidente della commissione Ambiente della Camera, uno che il mondo dell?associazionismo lo conosce molto bene, sostiene che «in molti casi i numeri degli iscritti onestamente non corrispondono a pratiche associative paragonabili a quelle di altri mondi». E allora, dice, proprio l?avvio della class action può diventare un?occasione «per rafforzarsi in termini di trasparenza e di radicamento». Perché «è notorio che l?associazionismo consumerista italiano, che ha pure un sacco di meriti, ha un livello di organizzazione molto inferiore a quello di altri Paesi. Finora ha avuto un ruolo importante sul piano dell?informazione e qualche volta della battaglia legale, ma molto meno dal punto di vista associativo classico».
Insomma, una riflessione merita di essere aperta. «Deve valere anche per le associazioni la stessa trasparenza che loro chiedono alle controparti», sostiene Donata Monti, un passato di impegno nel consumerismo, da qualche tempo dall?altra parte della ?barricata? (è responsabile dei rapporti con i consumatori dell?Abi). «Le associazioni hanno preso coscienza di questo problema e riconoscono i limiti della normativa attuale. E questo è un segnale di serietà».
Progetti al centro
In che direzione si può migliorare, allora? «L?idea di basarsi sul numero degli iscritti è un retaggio della mentalità partitico-sindacale: i partiti e i sindacati si contano a numeri di tessere», dice Gustavo Ghidini, pioniere del consumerismo italiano, avvocato, fondatore del Movimento Consumatori. Il modello, a suo parere, dovrebbe invece essere quello dell?associazionismo ecologista «che ha contato per le proposte che ha fatto ed è stato giudicato rispetto alla serietà degli interventi, non per quanti iscritti ciascuna associazione si portava dietro». Un consumerismo maturo («in Italia è ancora un fenomeno in rodaggio»), secondo Ghidini, ha bisogno quindi «di un cambio culturale, in cui la rappresentatività sociale sia mostrata sul campo con la qualità degli interventi e delle proposte». Il che significa, secondo Ghidini, allargare lo sguardo, «fare politica, non concentrarsi esclusivamente su una (peraltro meritoria) attenzione all?assistenza sui singoli casi di abusi».
Una svolta culturale a cui dovrebbe fare da contraltare un diverso rapporto con le istituzioni pubbliche: «L?aiuto e il sostegno alle associazioni dovrebbe essere collegato ad azioni di informazione, di approfondimento, a progetti e dato a gruppi di associazioni, in modo da favorire l?aggregazione».
L?unione fa la forza?
Già, l?aggregazione. Altro punto dolente del mondo consumerista, frammentato in molte sigle (16 soltanto quelle accreditate al ministero), spesso anche piuttosto litigiose: «È un indubbio fattore di debolezza», dice Ghidini, «così si disperde la capacità di fare massa critica». Se per la Bertolini la cosa non è assolutamente anomala, ma anzi in linea con quanto accade nel resto d?Europa («in Belgio, uno stato grande quanto la Lombardia, ci sono 15 associazioni»), per Realacci «un fenomeno di aggregazione sarebbe auspicabile». «È un?esigenza sentita dalle stesse associazioni, che stanno facendo uno sforzo per creare rappresentanze di gruppo», sostiene Donata Monti, che cita l?esempio di Intesa Consumatori (l?alleanza che riunisce Adusbef, Adoc, Federconsumatori e Codacons): «È giusto che ciascuna sigla mantenga la sua identità, la sua storia, le sue radici. L?importante è che ci sia uno sforzo, sui grandi temi, a trovare posizioni comuni».
Perché non cominciare proprio dall?operazione trasparenza, per esempio, cercando di formulare una proposta unitaria per riformare il meccanismo di accreditamento e l?accesso ai finanziamenti pubblici? Sarebbe un bel segnale, per iniziare col piede giusto un 2008 davvero da protagonisti.
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