Ci manca la fata cumana. Il problema delle primarie è talmente epocale e decisivo, che i grandi uomini del nostro parlamentino si sentono tremare le vene e i polsi. Se Renzi le vuole, Bersani le snobba; se Di Pietro farfuglia, Grillo gracchia; se Berlusconi ironeggia, Gasparri starnuta.
E non trattasi solo di farle ma, ancor più comica-drammatica, sarà la data: entro l’anno, prima dell’Expo, alla fine del mandato di Napolitano, ai primi segni del morbo di Parkinson del Papa? Interrogheremo la fata cumana.
Sarà! Ma noi cittadini idioti che dimentichiamo facilmente i nomi dei sanculotti romani, facciamo, invece, sempre meno fatica a capire i meccanismi. Ci stiamo svegliando! E, rossi in volto, balbettando, sussurrando nell’orecchio dei nostri figli, abbiamo l’incivile coraggio di dire: “Neanche questa volta se ne andranno”. Perché, oltre alle primarie, c’è la legge elettorale.
E qui i tempi, gli inciampi, i passaggi sono come quelli della Via Crucis del venerdì santo. Muoiono, si alzano, piantano chiodi, schiodano ladroni, offrono in calici storici cicute che ucciderebbero almeno 300 socrati in un colpo solo.
Eppure, non molla mai nessun Culone, sulla poltrona pennichelle a tutto spiano, e via! Ai tempi erano riusciti i suoi a far fuori il Padre Eterno, addirittura con un bacio. Qui, di “baci” di giuda, c’è piena l’Italia eppure non molla nessuno.
I trenta denari sono diventati duecento milioni. Di Giuda ce ne sono dodici per uno, eppure nessuno va a casa. Allora un monticello come il Calvario ha spaventato il mondo, il terremoto ha scosso l’intera Gerusalemme, sono scappati tutti, soldati compresi. Adesso, si giocano la schedina sotto il crocifisso con pantomine alla Benigni!
Allora è bastato un colle, oggi un Monti capace di controllare la Merkel e di alzare il telefono con Obama, non riesce a spaventare quel povero Lusi; santo, martire, benefattore, leggermente invischiato in quattro cene, un po’ di vacanze e, causa il lavoro faticoso, con una labilità di memoria patologica.
Io credo che, all’inizio dell’anno venturo, la memoria tornerà, la voglia di reimpegnarsi a portare a casa milioni aumenterà, l’Italia dei partiti, finalmente, tornerà sulle poltrone. Noi, italiani gigioni e deficienti, li rivoteremo e Monti andrà in Europa a cantare la ninna nanna a qualche suo nipote che, nel frattempo, è nato e non ha avuto un minuto per cullarlo.
Il ceto politico italiano viene dalla scuola dei pigmei! Il più grande era trenta centimetri, due millimetri e un millesimo di millimetro. La razza è questa. Non è mica colpa loro, ci hanno insegnato che nella botte piccola di solito, ci sta il vino buono.
Ecco perché i nostri politici sono pigmei. Non dimentichiamoci, però, anche il pappagallo; è piccolo e assomiglia ad un’anfora un po’ sbracata!!!
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