Mondo

«Ci credevamo il Paese dei balocchi»

Saul Bellow: «Spero che la catastrofe spinga la gente a interessarsi a cose più serie» intervista di Farkas Alessandra raccolta da Il Corriere della Sera il 12 settembre 2001

di Redazione

«Credo che gli americani debbano iniziare a pensare più seriamente alla propria posizione e al proprio ruolo nel mondo. Gli Stati Uniti sono un enorme Paese dei balocchi abitato da bambini viziati che si illudono di poter continuare a giocare per sempre. Più del terrorismo, il vero pericolo per la nostra società e democrazia, oggi, è rappresentato da questa apatia e qualunquismo generalizzati». Provocatorio e anticonformista come sempre, lo scrittore e premio Nobel per la letteratura Saul Bellow dà al Corriere la sua interpretazione dei tragici attentati terroristici di martedì. «La superpotenza è reduce da uno dei periodi più ludici ed economicamente prosperi della sua storia; ostaggio di un materialismo senza precedenti. Quest’ orgia consumistica l’ ha portata a focalizzare tutte le energie sull’ acquisizione di beni di consumo, disinteressandosi della condizione e dei problemi reali del Paese. L’ americano oggi vive per comperare, usare e gettare via perché questo è l’ obbiettivo esistenziale fissato per lui dalla società. Ma una civiltà non può crescere e prosperare su fondamenta del genere». Sta dicendo che l’ America è indirettamente responsabile della catastrofe che l’ ha colpita? «Non voglio puntare il dito. Tuttavia ritengo che l’ evoluzione storica della nostra nazione abbia fatto sì che una minoranza davvero esigua si interessi di problemi reali piuttosto che di quisquilie. In questo Paese dei Balocchi non c’ è posto per sogni irrealizzabili. La libertà di movimento è illimitata e basta pigiare un bottone per realizzare le magie più strabilianti. Ciò ha creato nella gente un senso illusorio di immortalità e privilegio, distorcendone contemporaneamente le priorità». Non siamo comunque di fronte alla perdita dell’ innocenza dell’ America? «Lo dubito. Mentre la tragedia si srotolava in diretta tv, i mezzi-busti continuavano a interrompersi, chiedendo scusa ai telespettatori per aver annullato la cronaca delle partite. “Debbono essere inondati di p roteste dai fan di baseball”, mi sono detto. Molta gente era infuriata perché le partite erano state annullate e non per la brutalità di quanto stava accadendo. Si rende conto?». Pensa che questa leggerezza abbia contribuito a un abbassamento della guardia da parte dei politici americani? «Spero solo che il tono generale nel Paese si faccia più serio, dopo questa catastrofe, inducendo la gente a interessarsi dei problemi reali. L’ America finge di discutere di politica, cultura e temi sociali, m a in realtà non fa altro che riempirsi la bocca di parole vuote e senza senso. E’ ormai rarissimo, per me, imbattermi in un dibattito pubblico che mi interessi». Secondo gli psicologi, l’ anima collettiva del Paese oggi è gravemente ferita. «Sarà. Ma nell’ immaginario collettivo la catastrofe sta prendendo già i connotati di un colossal hollywoodiano e viene vissuta come un film, estremo, eccessivo e violento, ma pur sempre irreale. I giornali oggi usano paralleli tratti dalla cinematografia recente per descrivere gli attentati». E il parallelo con Pearl Harbor? «Debole. A quei tempi l’ America era reduce dalla Grande Depressione e i cittadini erano ben più seri e consapevoli dei fatti della vita e della res pubblica». Quale lezione politica si può trarre da quanto è accaduto? «Una delle lezioni che ci vengono dagli anni Venti e Trenta è che i fanatici sono in grado di salire al potere e controllare una nazione come hanno fatto in Germania, dove la sofferenza era tale, dopo la prima guerra mondiale, da spingere la gente alla vendetta. Per esplorare i meandri della psiche terrorista ci sono tantissimi psicologi, anche se ben pochi con risposte esaurienti». Com’ è potuto accadere? «Nessuno lo sa, visto che gli esperti ci avevano mess o in guardia da tempo. Ma purtroppo chi può dirci esattamente chi è stato e perché l’ ha fatto non viene consultato dal clan al potere. Che va a giocare a golf invece di preoccuparsi del mestiere “sporco” della politica». L’ America sta forse pagando il prezzo del proprio isolazionismo? «Non credo che la colpa sia dell’ isolazionismo, perché il business americano nell’ era della globalizzazione è una piovra con tentacoli ovunque ed è tutto fuorché isolazionista. L’ odio anti-americano nel mondo è aumentato in proporzione all’ immagine dello yankee riccone e privilegiato che guida auto da corsa fregandosene di tutto e tutti. Anche l’ italiano, il francese e il norvegese sono detestati per lo stesso motivo. Ma loro non sono la prima potenza militare del pianeta».

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