Formazione

Chiusura o rilancio? Un anno per decidere

Diminuiscono volontari e fondi

di Daniele Biella

«Se vogliono farci il funerale, almeno ce lo comunichino prima», dicono le associazioni. Che temono sempre di più di chiudere i battenti. Anche perché i numeri della Finanziaria fanno temere il peggio Chissà se alla fine del 2010 il servizio civile ci sarà ancora… Se la notizia per ora non buca il piccolo schermo, è solo questione di tempo. Perché il trend negativo è da capogiro. Senza andare troppo indietro nel tempo, basta dare un’occhiata al “contatore” con il quale l’Unsc – Ufficio nazionale servizio civile dà conto giornalmente dei volontari attivi: il 7 gennaio 2009 si era a quota 34.377, il 5 gennaio 2010, invece, si è scesi a 28.257. Un’emorragia di 6.120 posti, meno 18% in un solo anno. Altri numeri da bollino rosso: il 1° settembre 2009 dovevano partire in 2mila ma gli effettivi, sempre facendo riferimento al dato del contatore, sono stati 378; il 1° dicembre sono stati avviati in 3.300 anziché 7mila; il 15 dicembre, solo 801 dei 7.500 previsti. Infine, l’ultima recentissima tegola riguarda la Finanziaria 2010, che ha confermato i tagli ai fondi destinati al servizio civile previsti due anni prima, stanziando per i prossimi 12 mesi 170 milioni di euro (poco meno dei 171 del 2009, ma ben lontani dai 266 milioni del 2008), ma soprattutto riducendo a 125 milioni l’apporto per il 2011 e per il 2012. Cifre che parlano di un declino senza precedenti. Sarà inarrestabile?

Una domanda da 500mila posti
Nessuno ha la palla di vetro, ma nelle associazioni, grandi e piccole, si parla già di preparare i funerali al servizio civile. «L’importante è che ce lo dicano prima se vogliono farlo morire, assieme a mezzo secolo di storia di un valore fondante della Repubblica italiana come l’obiezione di coscienza!». È perentorio nella sua analisi Maurizio Garotti, direttore dell’area Servizio civile dell’Anpas. «Siamo in un momento di stallo insostenibile, una fase in cui gli enti non stanno più investendo, ma solo pensando a come tenere in vita una struttura che negli anni si è consolidata proprio grazie al buon esito del servizio civile», sottolinea Garotti, che spiega anche i ritardi nelle partenze: «Non c’è alcuna cattiva gestione da parte dell’Ufficio nazionale, piuttosto dietro a ogni scelta è evidente la mancanza di risorse. In questo senso, un ritardo di 15 giorni a cavallo di fine anno significa per loro un notevole risparmio sul bilancio 2009».
I fondi dunque, il vero problema. «Sì, nonostante le buone intenzioni di Unsc e Giovanardi, l’impressione è che abbiano le mani legate», interviene Licio Palazzini, presidente di Arci servizio civile, ribadendo la sua proposta all’esecutivo di «comprare un cacciabombardiere in meno, per risolvere ogni problema. Il tema dei fondi tocca la giustizia sociale: se nel 2011 partissero solo poco più di 15mila giovani su un bacino d’utenza di 500mila, questi sarebbero dei privilegiati agli occhi dei coetanei, che cominciano così a disaffezionarsi al servizio civile aprendo una strada senza ritorno».
Anche in casa Misericordie Maria Pia Bertolucci parla chiaro: «Il minore stanziamento porta più burocratizzazione, si veda il nuovo prontuario di progettazione inviato dall’Unsc agli enti, che rende sempre più difficile fare progetti, dove il finanziamento diventa una sorta di “bingo”. E dico questo consapevole che noi siamo fra quelli con più volontari in servizio» (le Misericordie sono al terzo posto nella graduatoria 2009 con 1.135 invii, preceduta da Arci servizio civile con 1.612, Unpli con 1.144 seguita da Anpas con 1.068). Bertolucci vorrebbe «più equità fra noi associazioni e chi ci finanzia: siamo nella stessa squadra nel promuovere il servizio civile. Che se è destinato a chiudere, allora si ferma anche l’Italia».
I dubbi sul futuro immediato «di un’esperienza che ha un valore umano prima che economico» sono forti anche tra le file dei donatori di sangue: «Sia come Avis che come Cnesc (la Conferenza nazionale enti di servizio civile, composta da 22 tra i maggiori enti accreditati, ndr) siamo molto preoccupati che si arrivi a un blocco totale», spiega Pasquale Pecora, referente dell’Avis, «abbiamo comunque fiducia nella riforma Giovanardi, sebbene sia in atto un tira e molla tra Stato e Regioni: la speranza è che il testo finale tenga fede alle promesse». Un sì alla bozza Giovanardi arriva anche dai rappresentanti dei volontari in servizio. «La flessibilità dell’orario è uno dei cambiamenti che chiediamo da tempo», puntualizza Carmelo Interisano, delegato dei giovani della macroarea Nord, «ma l’importante è che dietro una riforma, che può anche essere perfetta, ci siano i fondi per supportarla, altrimenti si perde solo tempo». Che ormai è poco. «Se nel 2010 si resisterà, i pochi fondi del 2011 sono sconcertanti», aggiunge Interisano, «è un atteggiamento miope tagliare in un settore che, a costi minori per lo Stato, offre un servizio che, come dimostra l’ultimo rapporto Cnesc, giova alla società moltiplicando l’investimento iniziale».

Stati generali, perché no?
In un mare sempre più agitato prova a calmare le acque indicando una via d’uscita Diego Cipriani, ex direttore Unsc e oggi referente aerea Povertà di Caritas italiana: «Bisogna che tutti gli attori coinvolti, dal governo alle Regioni, dagli enti ai volontari, riprendano a dialogare come qualche tempo fa, senza scontri: una sorta di Stati generali in cui, attorno a un tavolo, si prendano decisioni condivise da tutti, nessuno escluso. Altrimenti il servizio civile rischia davvero la morte per implosione».


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