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Chiude il Punto Snai diventato romanzo

Dopo la sollevazione del quartiere milanese di via Giulio Romano, chiude la sala scommesse in cui lo scrittore Aldo Nove aveva ambientato il suo racconto-denuncia Bingo Italia. «Ma il vero dramma si incontra nei bar», dice l'autore

di Mattia Schieppati

L’insegna c’è ancora, al civico 19 di via Giulio Romano, a Milano. I colori blu e arancioni del Punto Snai reggono, ma dietro le vetrine c’è il vuoto. Porta chiusa, sgabelli e cartacce abbandonate, fili che penzolano dalla parete dove, fino a pochi giorni fa, c’erano le 6 file di video con gare e quotazioni.
Lo sbaraccamento della sala scommesse “Punto Snai” arriva dopo una crociata durata mesi messa in campo dall’interno quartiere, piccola storia di attivazione all’interno del grande fenomeno di contro-rivoluzione no slot. Di sicuro, una “chiusura d’esercizio” simbolica, perché proprio questa sala, tra le decine di migliaia in Italia, era diventata protagonista del racconto-romanzo dello scrittore Aldo Nove, Bingo Italia (titolo originale: Punto Snai, poi cambiato dall’editore per ovvi motivi…).
Questo Punto Snai di via Giulio Romano è (era) il “porto” all’interno del quale si sviluppa il tormentoso flusso di coscienza di Maurizio, il protagonista del racconto, «metafora delle tante vite che si bruciano ogni giorno davanti a una macchinetta», ci aveva detto Aldo Nove (qui l'intervista sul libro). Nove abita proprio qui, in questa via, e da qui era partita la sua riflessione sul gioco come dramma antropologico.

Aldo Nove, la chiusura del Punto Snai è una vittoria del quartiere?
Purtroppo, temo di no. Che non sia per niente una vittoria. È il simbolo di due sconfitte. La prima è generale: nell’ultimo decennio via via hanno chiuso praticamente tutti i piccoli negozi della via, il fruttivedolo, il calzolaio, la signora che vendeva i tessuti. Al loro posto, hanno cominciato ad aprire e chiudere una serie infinita di negozi temporanei, la sala scommesse, quelli delle sigarette elettroniche… esercizi commerciali che arrivano da non si sa dove, stanno aperti due mesi, e poi spariscono senza che neanche fai in tempo ad accorgerti. E quel che resta è solo un grande vuoto sociale. Segno di qualcosa che in generale non va, nelle nostre città.

Però, una sala scommesse che chiude, una mezza vittoria lo è...
Parlavo di due sconfitte, e questa è la seconda. Il problema è che la gente non va più a giocare e scommettere nelle sale scommesse, perché lì capisce di essere in qualche modo sotto osservazione. Non ha la coscienza a posto. Solo che allora non è che decide di smettere. Va a giocare alle macchinette nei bar. Il bar è il posto perfetto: c’è confusione, c’è via vai, è uno spazio confusionale dove puoi rinchiuderti e rovinarti la vita alle videolotteries in santa pace, senza rendere conto a nessuno. E poi i giocatori più incalliti sono anziani e casalinghe. Gente che in genere al punto scommesse ha delle remore ad andarci. Mentre al bar ci va senza problemi. Credo che il giocare al bar, piuttosto che in una sala giochi, sia un ulteriore passo verso l’abisso della solitudine in cui si chiude il giocatore.

Lei frequenta il quartiere, lo vive oltre che averlo raccontato. Entra nei bar e parla con i baristi. Ha mai affrontato con un barista il tema delle macchinette presenti nel bar?
Sì, certo. In particolare, quello che mi è rimasto più impresso di questa “indagine” è la chiacchierata che ho fatto con una barista della via. Che mi ha raccontato dell’imbarazzo, della tristezza che prova quando nel suo bar entra una vecchietta, ormai una habitué, che si mette alla videolottery e butta via così in un giorno tutta la sua pensione. Dice che, quando la guarda, si sente addosso una responsabilità spaventosa. È in imbarazzo quando questa donna entra nel suo bar…

…Però?
Però manca lo scatto a cambiare le cose. O, forse, purtroppo l’essere umano è fatto per riuscire ad abituarsi a tutto, anche all’imbarazzo e alla tristezza. E sono talmente tanti quelli che, nelle 20 ore di apertura di un bar, si rovinano alle macchinette, che a un certo punto anche il barista diventa insensibile.

Per scrivere Bingo Italia ha scavato in modo molto profondo nella patologia del gioco, nei tic e nelle abitudini del giocatore malato, nello sconvolgimento che provoca in un quartiere cittadino l’apertura di una sala scommesse. Hai continuato a monitorare questo tema, ne è rimasto in qualche modo coinvolto?
No, mi sono bastati ed avanzati quei mesi in cui, “per lavoro” ho dovuto entrare nel mondo del gioco, e nella testa del giocatore patologico. A un certo punto, confesso, mi sono sentito soffocare, non vedevo l’ora di uscirne. E parla uno che non ha mai giocato a una videolottery in vita sua… È un mondo schifoso, e salva la normale coriosità sociale per tutto quello che il gioco sta cambiando nella nostra società, cerco di non appassionarmi più di tanto all’argomento.

 

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