Ancora cassa integrazione, ancora linee ferme. Il dopo referendum, a riflettori spenti, è tutto al rallentatore. I nuovi modelli, la L0 e la Freetown, verranno prodotti comunque all’estero: in Serbia la prima, negli Usa la seconda. Intanto Torino…La Torino che è sempre in ferie ma non va mai in vacanza ha il volto magro e gli occhi sbarrati di Cristian Manzo. Lui, 37 anni festeggiati il 3 agosto nel caldo-ruggine della città, circa la metà spesi a montare automobili nel reparto carrozzeria di Mirafiori, dove tutti lo chiamano “ragazzo” perché tutti gli altri hanno passato gli “anta” da un bel pezzo, ha appeso a novembre scorso la tuta blu nell’armadio. In una busta bianca gli è stata recapitata la lettera di cassa integrazione. Stop fino a dopo le feste di Natale. Braccia incrociate e tanta tv fino al “grande giorno”, quello del referendum, quando l’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, ha chiamato i 5.431 operai e i 449 impiegati alla scelta: modernizzare la produzione, a costo di qualche sacrificio, oppure tutto come prima, e addio investimenti in Italia. E il Sì ha vinto per un pelo, con 2.735 voti, pari al 54,05%. A votare No sono stati invece in 2.325 (45,95%). Quel diktat a Cristian Manzo non è piaciuto. Era dalla parte dei No, anche se ha capito le ragioni dei Sì, la maggioranza che ha approvato il piano e che si è turata il naso pur di non rischiare di perdere il lavoro. Eppure oggi quel lavoro riconquistato a caro prezzo resta un miraggio.
A lui, operaio di terzo livello con 15 anni di linea in Carrozzeria sulle spalle, l’etichetta di cassa integrazione non l’hanno tolta. Due giorni alla settimana di lavoro, a mettere insieme i pezzi della Multipla insieme con le altre 2mila tute blue delle Carrozzerie. Il resto degli operai se la passano un po’ meglio, perché hanno lavorato fino a tre giorni a settimana sulla linea della Mito. Mentre i nuovi modelli, la L0 e la Freetown, verranno prodotti comunque all’estero: in Serbia la prima, negli Usa la seconda. «La cassa integrazione è un limbo dove non maturi alcuno scatto, non cresci né migliori e ricevi solo due terzi dello stipendio. È come stare in ferie senza andare in vacanza».
Linee ferme
Perché Fabbrica Italia, il super piano di rilancio di Fiat in Italia e i 20 miliardi annunciati da Marchionne sono rimasti sulla carta intestata del progetto. I sindacati lamentano che solo per 2,2 miliardi è stata data una destinazione ? il rilancio di Pomigliano ?, ma le linee di produzione a Mirafiori sono ferme. «Nessuno è venuto ad installare nuove linee. E che sia chiaro», dice Edi Lazzi di Fiom-Cgil, «che la Freemont, il suv tanto atteso, da queste parti, dalla politica che si è schierata con la cosiddetta “rivoluzione Marchionne”, si farà, ma non a Torino. Si farà in America».
Cristian Manzo – «per fortuna» dice lui – non ha figli. Moglie ce l’aveva. Ma poi si sono separati. Così si campa anche con 800 euro al mese, lo stipendio del cassintegrato, senza pensare troppo al futuro. Ma l’ombrellone quest’anno, proprio no. «Sarò in buona compagnia. Con tanti colleghi che non possono permettersi neppure un weekend e che invece di fare la coda in autostrada fanno la fila in banca per rimodulare il mutuo per la casa. Io ricomincio a fare il primo turno a metà settembre, ancora due giorni a settimana. E poi non so. Ho provato a guardare altrove, ma con la crisi Fiat tutto l’indotto è fermo».
Torino e il Piemonte, in ghingheri e fanfare per i 150 anni dell’Unità d’Italia, detengono il record della cassa integrazione italiana. Nel 2010 la cassa in deroga è salita del 14%: 5,2 milioni di ore solo a Torino, da Guinness dei primati. Intanto il mercato dell’auto in Italia a luglio è tornato a sprofondare con ritmo a doppia cifra (per Fiat, il 12%), arrivando a toccare i livelli del lontano 1983. Lo scontro Fiat-Fiom, con i sindacati che danno la colpa della sciagura al sindacato figlio della Cgil, è passato alle carte bollate. Per il Tribunale del lavoro di Torino, l’intesa firmata tra l’azienda e i sindacati, con l’esclusione dei metalmeccanici Cgil, è valida. Ma è illegittima l’estromissione della Fiom dal sito produttivo campano. Sentenza salomonica che pare non sia piaciuta a Sergio Marchionne, che dagli Usa fa sapere che «in Italia è l’ideologia a muovere le relazioni industriali».
I viaggi degli americani
Alle urne, per anni, il voto degli operai ha premiato Silvio Berlusconi. Pure la Lega Nord ha fatto capolino aprendo una sede davanti a Mirafiori. Poi le cose sono andate male per tutti. Nella sede della Fiom, in corso Unione Sovietica, una palazzina diroccata che pare occupata dagli autonomi, Edy Lanzi, stropicciato in una maglietta resa meno nera dal rosa dei coniglietti di Play Boy, traffica con il suo tablet touch screen. E se la prende con la politica: «Il sindaco Piero Fassino? E chi l’ha visto? Incontra Marchionne, prelati, politici, e va a Roma. Elargisce dichiarazioni imbarazzanti come: «Se fossi un operaio voterei l’accordo Fiat». «Qua non viene mai. Stiamo preparando una sorpresa: lo andiamo a trovare noi». Un Comune sotto assedio? «Vedremo. Capisco che per molti la questione operai sia diventata una scocciatura ma bisogna ricordare ai politici che anche noi esistiamo».
Qui, un tempo, lungo corso Traiano, tre corsie alberate e case popolari in faccia a Mirafiori, ai primi di agosto le utilitarie si caricavano di ogni ben di dio per i viaggi degli “americani”, di quei lavoratori ? erano più di centomila i Cipputi di mamma Fiat ? che avevano messo su qualche soldo e tornavano al paese per un mese di ferie. Bimbi in colonia (Fiat) per chi doveva ancora stringere la cinghia, e piscina (sempre Fiat) per tutti. Dalla culla alla tomba. Il welfare torinese della nobile casata degli Agnelli. Per gli operai di terzo livello come Cristian Manzo quel mondo è un pallido ricordo che si schianta in qualche battutina maliziosa sugli eredi dell’avvocato. Le “certe notti” di Lapo, l’impalpabilità di Jaki, il top management le cui cariche non si sanno neppure pronunciare. E poi quel gran giocatore di poker che è Sergio Marchionne. Uno che non va mai vacanza e vince sempre.
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