Economia

Chiquita non scivola più sul bananagate

L'ex United Fruit ingrana la marcia della Csr. La spiegazione di Luciana Luciani, responsabile Csr per l'Italia -di Christian Benna

di Redazione

L' avvocato del diavolo ha i modi gentili di una signora. Il passo deciso del manager, la voce serena di una maestra. Veste di nero e sfoggia occhi celesti che sorridono anche alle domande più scomode. Perfino a quelle che il suo ?cliente? vedrebbe bene sepolte in fondo al pozzo delle brutte storie da dimenticare. Ma il passato sulfureo di Chiquita International, la multinazionale delle banane, continua a riemergere creando imbarazzo. E a Luciana Luciani, da quasi trent?anni dirigente della filiale italia, prima nel marketing e comunicazione e oggi responsabile Csr , tocca rispondere, rintuzzare, limare. E soprattutto spiegare che certe ombre sono state spazzate via dall?alba di una nuova stagione. «Ma vallo a spiegare ai media».

Già, i media sempre ingordi di notizie truci sul celebre ?bollino blu?. Come in quel di marzo, quando il colosso di Cincinnati (Ohio) ha patteggiato con il dipartimento di Giustizia statunitense una multa da 25 milioni di dollari per aver finanziato – con circa 1,7 milioni – dal 1997 al 2004 i paracos delle Auc, i paramilitari di destra colombiani, un gruppo terrorista secondo la Casa Bianca. «La sola ragione per cui la compagnia si è sottomessa a queste richieste di denaro», ha ribadito all?epoca Chiquita, «è stata quella di proteggere i suoi lavoratori dai pericoli per la loro sicurezza, in cui avrebbero potuto incorrere se il pagamento non fosse stato effettuato».

Capitolo chiuso? Neanche per sogno. Altri familiari di 387 colombiani assassinati dalle Auc hanno denunciato nuovamente la società, chiedendo un maxirisarcimento di 7,8 miliardi di dollari. E poi le grane ambientali in Costa Rica, i precari diritti dei lavoratori, le interferenze negli affari governi. Negli anni 70, quando Chiquita si chiamava United Fruit Company, in Honduras volavano le mazzette pur di abbassare le tariffe sull?export della frutta. Era il tempo dello scandalo Bananagate. Se il Centro e Sud America erano il cortile degli Stati Unite, la società era il severo giardiniere. Brutte storie, difficili da raccontare, purtroppo comuni a tante imprese del settore, ma non impossibili da cambiare. Per questo, da almeno 15 anni, Chiquita investe massicciamente in programmi di responsabiltà sociale d?impresa. «Che non è un ossimoro», dice Luciana Luciani, «ma la voglia di fare un business sostenibile». In cantiere non ci sono linee equosolidali, donazioni e tagli dei nastri per progetti filantropici. «Spesso sono operazioni di maquillage, che a noi non interessano. Il nostro obiettivo è continuare ad essere una multinazionale leader nella distribuzione della frutta senza pesare negativamente sulle comunità».

Il primo passo per Chiquita è stata la certificazione. La SA8000 – estesa al 100% delle piantagioni – sulla tutela dei diritti dei lavoratori del gruppo, e quella di RainForest Alliance, valida anche per tutti i fornitori sul tema degli standard sociali aziendali.


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