Cultura

Chievo, il gol della ragioneria

Vitale analizza il fenomeno Chievo da un punto di vista industriale, e scopre che le qualità della piccola squadra di quartiere sono quelle della tipica azienda italiana

di Marco Vitale

La vicenda del Chievo calcio, pur contenuta, come si deve, nel campo che le è proprio, e senza esagerazioni o esaltazioni, non è per niente una piccola vicenda. Essa non è solo vicenda sportiva; è anche una vicenda sociale densa di significati, e richiede qualche chiave di lettura un po? più articolata di quella puramente calcistica. Nelle vicende sociali i fattori più semplici e specifici e quelli più complessi e di più lungo momento spesso si intrecciano, sicché la stessa chiave di lettura può servire per spiegare eventi molto diversi.
La vicenda del Chievo e dei suoi personaggi hanno evocato in me molti personaggi della cultura popolare. L?astuzia arguta, prudente, colma di diffidenza del presidente Luca Campedelli non evoca la saggezza contadina di Bertoldo? E la ferma ma non arrogante determinazione dell?allenatore Luigi Del Neri, che non sa dove arriverà ma sa che andrà, comunque, avanti, perché la direzione è quella giusta, non evoca la forte ?self confidence? dei grandi esploratori che si inoltrano, da soli e consapevoli dei pericoli, in mondi sconosciuti? E il clamoroso squilibrio tra i positivi risultati e le risorse impiegate non evoca tante altre imprese nelle quali il genio italico si è manifestato proprio nella modestia delle risorse impiegate? E lo stesso pensare così in grande, la mancanza di soggezione, il non porre limiti predeterminati al proprio ardimento non evoca lo spirito dei grandi avventurieri? E la capacità di far tremare, ma con misura e stile, i superricchi e di conquistarsi così l?amore del popolo non evoca la figura dei briganti gentiluomini, dei Ghino di Tacco, dei Pacchione, dei Passatore Cortese, di tutti quelli che diedero vita a quello speciale brigantaggio italiano che Antonio C. F. Valery, nella sua guida per viaggiatori in Italia, chiamò «cavalleria delusa»?
E quel Luciano Moggi, dirigente della Juventus, che, alla televisione, snobba il Chievo, non evoca uno dei tanti potenti, la cui arroganza ha sempre causato il disagio e la sofferenza del popolo italiano, e che dicono cose sbagliate o false come se fossero pacifiche verità, da loro stessi certificate?

L?anima della borgata
Moggi ha detto che nella vicenda del Chievo non c?è niente di nuovo e ha fatto l?esempio dell?Atalanta nello scorso campionato. Affermazione priva di senso e confronto infondato. L?Atalanta ha dietro le spalle un?intera città, forte, ricchissima e particolarmente affezionata alla sua squadra, e ha una storia di partecipazione alla seria A vecchia di decenni.
Non è mai successo che salisse alla serie A e che qui si battesse con forza e dignità, una squadra espressione di un solo quartiere cittadino di 3mila anime, una squadra di borgata come un quartiere di Siena per il Palio. Questo è il fattore straordinario della vicenda del Chievo e può anche darsi che questo sia uno dei suoi vantaggi, rendendola più libera per una guerra da corsari. Perciò, comunque finirà il campionato, quello che il Chievo ha già, sino a oggi, realizzato, è di per sé un fatto eccezionale, e che richiede qualche tentativo di interpretazione non banale, come l?interesse della stessa stampa internazionale conferma.
Se i risultati sono il frutto di uno sforzo collettivo coerente e prolungato, non si può non sottolineare il ruolo di alcune personalità che hanno saputo imprimere a questo sforzo collettivo la giusta direzione. Alcuni li ho già ricordati. I giocatori bandiera che restano fedeli alla squadra per quindici-vent?anni, diventando esempio vivente di serietà sportiva. Il parroco che si batte per la realizzazione del campo parrocchiale. Ma alcune altre persone meritano un?attenzione particolare. Un ruolo di primo piano spetta al presidente Saverio Garonzi, già presidente dell?Hellas. Per quanto la sua stagione sia stata breve è, forse, questo ragazzo di 73 anni che, forte del suo entusiasmo, unito alla sua grande esperienza, immette nel Chievo la convinzione che si può mirare in alto, molto in alto, con umiltà ma senza timori reverenziali. E Garonzi è il tipico esempio dell?italiano realizzatore, dotato di ampia visione, ma attento ai dettagli, che non lascia nulla al caso, agli altri, ossessionato dalla qualità, perché sa che con la qualità si può andare dappertutto, anche in serie A partendo dalla borgata Chievo.
Quel Saverio Garonzi che muore a 76 anni, cadendo da un tetto, perché voleva controllare di persona che mettessero bene i coppi.

L?Harry Potter della A
E poi questi Campedelli. Parlo al plurale perché è chiarissimo che il ?presunto? timido Luca è il continuatore di uno stile della casa. Intendiamoci, Luca Campedelli (che appare a Gian Antonio Stella, in un bellissimo articolo sul Corriere della Sera dell?1 novembre 2001, «il presidente timido che ha qualcosa di Harry Potter») deve essere un personaggio durissimo. Il più giovane presidente di squadra di calcio a 22 anni, il più giovane presidente di serie A e B sei anni dopo e, nel mezzo, sei anni di successi e di costruzione della squadra vincente, e insieme di sviluppo dell?azienda di famiglia verso i piani alti del settore, un fiuto straordinario negli acquisti compreso l?ultimo, Luigi Del Neri (che prima di assumere sottopone a sei lunghi incontri-interrogatori): tutto questo non si realizza se non si sa cosa si vuole e come si ottiene, se non si è di durissima tempra.
Ma Luca Campedelli è anche l?erede e il continuatore di uno stile, l?erede (nelle idee, nei valori, nei comportamenti) del padre Luigi, prematuramente scomparso. Sono i Campedelli che danno spazio a Saverio Garonzi e che, intelligentemente, approfittano della maggiore esperienza di questi, invece di cercare di mettere in mostra se stessi e la propria incompetenza, come fanno tanti presidenti di squadre blasonate. Ed è Luigi che, quando è necessario, si fa carico della presidenza, ma prudenzialmente toglie il nome Paluani dalla squadra (per evitare che se la squadra va male i pandori ne risentano) e si circonda di competenti. Una linea e uno stile di understatement, di prudenza, di equilibrio, che è concausa non ultima della simpatia che il Chievo ha saputo cogliere tra tanta gente. Il giorno dopo la storica promozione in serie A, il ragioniere Luca Campedelli, dichiara: «È stata premiata la competenza degli addetti ai lavori e la bravura dei giocatori. L?anno prossimo è chiaro che non potremo fare pazzie, in quanto il primo nostro obiettivo sarà quello di fare quadrare i conti».
Bravo, ragioniere Luca Campedelli, è meglio mettere subito le mani avanti! Questo è stile. Uno stile della casa che è, al contempo, lo stile degli imprenditori italiani per bene. «Siamo contenti di avere portato allo stadio anche le famiglie» dice Luca Campedelli. E aggiunge: «La gente che ci vuole bene sarà il nostro cuore. I nostri sportivi verranno allo stadio sorridendo, e se ne andranno sorridendo qualsiasi sarà il risultato».

Il carisma del mister
E poi questo allenatore di 51 anni, Luigi Del Neri, che a luglio 2001 subito dopo la promozione in A, dichiara: «Il mercato chiude fra due giorni, non chiedo nulla di più di quanto mi hanno messo a disposizione: giocatori con caratteristiche importanti». Non sembra vero! Del Neri ha ereditato una squadra dai solidi fondamenti come ho cercato di descrivere, formati pian piano, da tanti contributi. Quindi sarebbe sbagliato attribuire a Luigi Del Neri tutto il merito del bel calcio con il quale il Chievo ha ottenuto la promozione in serie A e ci ha poi così divertiti in questo scorcio di campionato. Ma non vi è dubbio che il suo innesto è stato decisivo per dare alla squadra la qualità di gioco, la chiarezza di idee, la determinazione necessarie per ottenere questi risultati. Devo confessare che Del Neri ha conquistato il 50 per cento della mia simpatia per il solo fatto di essere friulano. Infatti, nel mio lungo girovagare per il mondo non ho mai trovato un popolo caratterizzato da un così elevato numero di persone per bene e in gamba come è il caso del popolo friulano. Quindi, un friulano parte, con me, avvantaggiato. E Del Neri è di Aquileia (in provincia di Udine), dove è nato il 23 agosto 1950. Il suo mestiere è stato quello del calciatore e poi di allenatore, con squadre minori ma con ognuna delle quali ha sempre ottenuto risultati brillanti. Se il 50 per cento della mia simpatia per lui è dovuta semplicemente al suo essere friulano, un altro 25 è dovuto alla qualità antica del gioco che ha saputo far esprimere alla squadra. Il residuo 25 è attribuibile alle sue idee morali e organizzative, che sono di elevata qualità :
– «Non siamo solo schemi, siamo fantasia, gruppo, unità d?intenti»
– «Il calcio non è fatto solo di tecnica e tattica, ma anche di entusiasmo, gioventù, voglia di fare, doti che noi metteremo in campo».
– «Siamo un fatto sociale; la voglia di emergere che tutti quelli in gradinata hanno nella vita, noi la mettiamo in campo».
– «È stata la cosa più bella della partita. Questo è il Chievo» (riferendosi a Corini che calcia in fallo il corner erroneamente assegnato a lui).
– «Primo: conoscersi a fondo. Secondo: sviluppare i valori comuni. Terzo: lavorare, lavorare, lavorare. Sapendo bene che chi comanda, allenatore o manager d?azienda, deve essere credibile».
– «Perché un gruppo si formi sono necessarie idee chiare e conoscenze reciproche? Perché una squadra , come un?azienda, è fatta di scelte: allenatori, dipendenti, modo di lavorare. I valori comuni scaturiscono da questa frequentazione».
– «Ho in mano un capitale umano, come qualsiasi dirigente d?impresa e devo farlo lavorare al meglio. Ebbene, ciò avviene se i valori di riferimento diventano patrimonio di tutti, pur sapendo che chi ha la responsabilità del gruppo tende a creare il gruppo a sua immagine e somiglianza. Al Chievo noi siamo tutti numeri zero, perché con tanti numeri uno lo spirito non si forma. Ai ragazzi l?ho detto subito: se in A giochiamo uno contro uno faremo pochi punti. Ma con lo spirito di squadra…»
– «Per essere creduto un allenatore deve essere credibile e lo si può pesare da tante grandi o piccole cose. Dai giocatori pretendo il lei, per il rispetto dei ruoli. Si può parlare di tutto, ma ognuno ha il suo compito e il mio è di decidere, fra l?altro, chi gioca e come».
Questa piccola antologia delle idee organizzative e professionali di Del Neri evidenzia una persona che non capisce solo di calcio, ma di molte altre cose e che ha perfettamente compreso i fondamentali principi organizzativi morali e professionali del manager, come quelle che si insegnano nelle scuole di management. Che però Del Neri non ha frequentato. Sono cose scoperte da lui, nel duro lavoro in provincia. Frutto solo della sua intelligenza.

Chi sono e che cosa fanno
Chievo: è un quartiere di Verona con poco più di 3mila residenti
Luca Campedelli: 32 anni, ragioniere.
Poco più che ventenne eredita con il fratello l?azienda di famiglia, la Paluani, e una squadra di dilettanti, il Chievo calcio
La squadra: Campedelli la costruisce
anno dopo anno, portandola dall?interregionale alla serie A
Il segreto: giocatori scartati dai grandi club, un bravo tecnico, clima familiare

La prima repubblica del calcio di Giampaolo Cerri
A volte ritornano. Nel calcio più che mai. La Federazione italiana gioco calcio, dopo un anno di commissariamento, ha infatti deciso di tornare ai vecchi santi: riaffidandosi a Franco Carraro, dopo il suo giro di valzer nella politica. Per dirla con lo storico Nolte: un passato che non vuol passare. Con la sola differenza che, nel calcio, il passatismo non è certo una malattia, anzi. Non c?è passaporto falso, nandrolone, rolex d?oro, tanto per citare gli ultimi scandali più famosi, che riesca a rinnovare la classe dirigente del pallone. Comandano i soliti noti. Come Luciano Moggi, scaltro ferroviere di Monticiano (Siena), convertitosi presto al business dei campi da gioco, diventando deus ex machina di Napoli, Roma e Juve. Comandano, dall?alto dei loro imperi finanziari, presidenti come Massimo Moratti, l?interista che ha drogato il mercato e gli ingaggi con investimenti da Finanziaria, senza portare a casa un titolo sportivo. O come il suo collega romanista Sensi, che dopo aver riempito d?oro Batistuta, invoca tetti agli ingaggi. Della prima repubblica calcistica fanno parte anche dirigenti come Galliani, capaci di giubilare un allenatore come Terim dopo un pugno di partite, malgrado l?avesse corteggiato per un anno intero quando era a Firenze. Giovanissimo, eppure in pieno stile Lauro (il vulcanico presidente del vecchio Napoli), anche il delfino di casa Tanzi, Stefano: a Parma ha macinato quattro allenatori in meno di un anno.

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