Sustainability portrait
La sostenibilità è nulla senza “controlling”
Nella nuova puntata dei dialoghi con i manager Esg, incontriamo Stefania Chinca, presidente di Chiesi Italia. Nel suo percorso, svolto tutto all’interno del gruppo farmaceutico, ha unito una solida formazione economica al grande respiro sociale. L'importanza di monitorare i risultati dei progetti socio ambientali
Il coraggio di decidere, dall’omonimo libro di Annalisa Galardi, è necessario. Se a questo si aggiunge un monitoraggio costante degli obiettivi e una struttura che li persegue, si ottiene un programma di lavoro ambizioso e duraturo. Non è la prima volta che questa rubrica incontra il tema della sostenibilità dal punto di vista della governance delle aziende. Però, nel racconto di Stefania Chinca, presidente di Chiesi Italia, la filiale italiana del Gruppo farmaceutico Chiesi, questo argomento diventa un vero e proprio manifesto per l’integrazione della sostenibilità nel business. Tra le sue responsabilità operative, oltre a quella di finance & sales operation, vi è infatti anche quella sullo shared value and sustainability, che delinea il percorso di trasformazione dell’azienda in questa chiave.
Anche il suo percorso in Chiesi parte da lontano.
Mi sono laureata in economia e commercio nel 1995 e, lo dico con orgoglio, sono entrata in Chiesi l’anno successivo. I miei primi incarichi, frutto della formazione prettamente economica che mi ha portato ad avere una sensibilità per il controllo e il miglioramento continuo delle attività in azienda, sono stati nell’ambito delle ricerche di mercato e, appunto, del controlling.
Un ambito che in quegli anni era agli albori…
Ho avuto la fortuna di partecipare alla strutturazione della governance di Chiesi Italia che, nel tempo, si è sviluppato molto. Oggi il Gruppo Chiesi è presente in 31 Paesi, con un fatturato 2022 di 2,749 miliardi di euro.
Come è arrivata alla sostenibilità?
Ripercorrendola in breve, posso dire che la mia attività è stata caratterizzata da un ampio respiro. Dal controlling, la responsabilità si è allargata all’auditing interno sulle attività dell’informazione scientifica, per arrivare a una supervisione della governance nell’organizzazione.
Quando nel 2020 Chiesi Italia, che oggi dà lavoro a 524 dipendenti, è diventata la società italiana del Gruppo, mi è stata attribuita la carica di chief financial officier e, in seguito, di presidente del Consiglio di amministrazione, con la decisione di inserire in questo cappello di responsabilità anche la parte di shared value – valore condiviso.
Come avete indirizzato l’azienda su questo tema?
A livello generale, abbiamo deciso di assumerci delle responsabilità precise per arrivare ai risultati di oggi, come base per quelli di domani. È un processo in continua evoluzione: crediamo che anche sulla sostenibilità si debba arrivare a un monitoraggio e controllo dei risultati attesi, per cercare di diventare ancora più competitivi. Vediamo la sostenibilità come un fattore di successo e differenziale rispetto ad altre aziende.
Quali sono queste responsabilità?
La principale, da cui dipendono le altre, è quella di integrare in tutte le scelte di Chiesi non solo le variabili economiche, ma anche quelle sociali e ambientali. La strada per realizzare la nostra mission di azienda farmaceutica – essere un gruppo internazionale incentrato sulla ricerca che offre soluzioni sostenibili per il paziente – passa anche dall’esserci costituiti come società benefit, certificata B Corp.
Può sintetizzare a beneficio dei lettori i vantaggi di queste caratterizzazioni societarie?
Qualificarsi come benefit assegna una responsabilità di creazione di valore condiviso nei confronti della società. È importante perché, come prevede la norma per acquisire questa forma societaria, abbiamo inserito nello statuto alcuni grandi obiettivi di natura ambientale e sociale, corrispondenti a quattro aree di impatto. Per ciascuna area realizziamo varie attività, ne monitoriamo i risultati e li comunichiamo nella relazione di impatto, che affianca il bilancio finanziario. Essere società benefit definisce anche l’obbligo di governance di avere un comitato di impatto definito.
Come lo avete formato?
Per noi la scelta è stata di individuare come comitato d’impatto tutti i membri del Comitato esecutivo, ossia il management che risponde direttamente al direttore generale. In questo modo tutte le aree dell’organizzazione sono ingaggiate nel portare avanti la sostenibilità. Questa è anche la conseguenza di un’altra scelta fondamentale: integrare l’impegno di sostenibilità nel piano strategico di sviluppo dell’azienda, non considerarlo un progetto separato.
Quanto alla certificazione B Corp?
È un elemento ulteriore per una misurazione ancora più accurata dell’impatto generato dall’azienda, che avviene sulla base di uno strumento chiamato B impact assessment, con diverse domande legate alle aree della sostenibilità aziendale, quali la governance, i lavoratori, la comunità, l’ambiente e i clienti.
Voi redigete anche il bilancio di sostenibilità?
Il Gruppo Chiesi redige il bilancio di sostenibilità monitorando vari indicatori e riguardano persone, catena del valore, governance, comunità locale, pazienti e ambiente.
Considerando che, per numero di dipendenti e fatturato, rientrate nella direttiva europea Csrd sulle nuove modalità di reporting della sostenibilità, non c’è un po’ troppa burocrazia?
Non ci lamentiamo per questo e siamo ben strutturati per svolgere tutte le rilevazioni necessarie che, peraltro, sono strettamente collegate tra loro. Nell’ottica del miglioramento continuo le attività devono essere misurabili e questo è l’unico modo per capire dove migliorare. Il sistema della sostenibilità è in forte evoluzione proprio sul fronte della misurazione dei dati, ma questo ci motiva e noi siamo orgogliosi di fare la nostra parte, anche nei confronti delle generazioni future.
Nella vostra relazione di impatto presentate ogni anno circa 80 attività correlate all’integrazione della sostenibilità del business. Ce ne racconti tre.
Partirei da Recupera e respira, un progetto pilota che abbiamo realizzato con Federfarma nelle oltre 400 farmacie del Friuli Venezia Giulia. È dedicato al recupero e corretto smaltimento in termovalorizzatori certificati degli inalatori per patologie respiratorie esauriti: in nove mesi, quattro persone su dieci hanno riportato in farmacia l’inalatore utilizzato e ne abbiamo raccolti più di trentamila. Un risultato in linea con l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2035, migliorando gli impatti dei processi aziendali e dei nostri prodotti.
Il secondo esempio?
Rispetto allo sviluppo delle comunità locali, per l’ottavo anno abbiamo partecipato all’iniziativa In Farmacia per i bambini in collaborazione con la Fondazione Francesca Rava. L’iniziativa, della durata di una settimana consiste nella raccolta di prodotti pediatrici da banco e prodotti baby care donati dai clienti delle farmacie aderenti, lungo tutto il territorio nazionale.
Come vi siete coinvolti?
Oltre a effettuare una donazione di prodotti e supportare la campagna di comunicazione, i nostri dipendenti hanno partecipato attivamente come volontari in farmacia per raccogliere i farmaci.
Il terzo progetto?
È il Sentiero del respiro, un progetto di sostenibilità ambientale di cui andiamo molto fieri e che stiamo seguendo passo dopo passo: attraverso una donazione alla Regione Veneto abbiamo contribuito al rimboschimento di un’area che era stata abbattuta dalla tempesta di Vaia nel 2018, piantando 10mila pini cembri, detti cirmoli, che sono particolarmente resistenti. In questa stessa area nel cuore delle Dolomiti abbiamo realizzato un percorso naturalistico di quattro chilometri accessibile a tutti, per i primi 400 metri anche alle persone con disabilità.
Voi stessi avete definito il vostro un business rigenerativo, che cosa significa?
Resterei su questo esempio: i cirmoli richiedono tempo e molta cura prima di diventare grandi, ma poi resistono meglio degli altri. Penso sia l’immagine migliore per descrivere che cosa è per noi la sostenibilità.
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