Cultura
Chiesa. Martini: “Serve più giustizia sociale”
In occasione dell'ultimo incontro per la cattedra dei non credenti dialogo tra il cardinale di Milano e Gustavo Zagreblesky, giurista e autore del libro "Il crucifige e la democrazia"
“Anch’io, come tanti credenti, sono in lotta col mistero divino nello stesso momento in cui lo amo e lo abbraccio. Anzitutto nel campo della giustizia sociale: mi fa soffrire profondamente – è un attentato alla mia fede – il fatto che l’umanità non sia riuscita a tenere insieme benessere, progresso, lavoro per tutti con ordine pubblico, pace e libertà democratica. La coperta è sempre troppo corta: in alcuni sistemi sociali c’era piena occupazione ma non libertà. In altri c’è libertà piena di mercato ma ci sono sacche di miseria e disoccupazione”. E’ una serie di j’accuse quelli lanciati da Carlo Maria Martini in occasione della 12° e ultima Cattedra dei non credenti: un occasione di ricerca sul tema della giustizia che ha messo di fronte – nella gremitissima Aula Magna dell’Università Statale di Milano – il porporato a Gustavo Zagrebelsky, docente di diritto costituzionale all’Università di Torino e autore per Einaudi del libro “Il crucifige e la democrazia”, sul processo fatto a Gesù Nazzareno. Il tema dell’incontro – cui hanno partecipato tra gli altri il filosofo Giulio Girello, il sostituto procuratore Francesco Maisto, Mino Martinazzoli ex segretario della Dc e il giudice Fernanda Contri – è caldo. “La giustizia – sottolinea Zagrebelsky – tutti la vogliono ma ciascuno la vuole a suo modo”. “Il credente – suggerisce Martini – che pure crede nella giustizia salvifica ed escatologica, partecipa alla lezione negativa dell’esperienza storica, e cioè che non c’è vera definitiva giustizia in questo mondo”.
Tante sono le sfide al senso comune di giustizia che Martini cita. Nell’ingiustizia sociale “emerge lo scandalo di una società umana che pur così intelligente, penetrante, tecnicamente perfetta, non trova i mezzi per far trionfare ciò che sarebbe ragionevole, utile per tutti, cioè una equa distribuzione dei beni con libertà per tutti, progresso per tutti, lavoro per tutti”. C’è poi un secondo esempio clamoroso di ingiustizia: “Mi turba e mi dà sconforto l’incapacità pratica di escogitare e attuare un sistema di giustizia penale e criminale che assicuri, insieme, l’incolumità e la sicurezza dei cittadini, la dovuta deterrenza per i crimini e insieme la riabilitazione e la restituzione alla società dei delinquenti, mantenendo il pieno rispetto della loro persone e dei loro diritti”. Il riferimento è alla politica carceraria, alle pene non detentive e ai riti alternativi: “Da una parte la situazione carceraria è ancora a livelli di gravissima disumanità, dall’altra i cittadini vivono spesso nell’insicurezza, nel timore di gesti malavitosi. Ecco l’impotenza a creare giustizia”. Altro segno evidente di ingiustizia terrena è la “violenza di conflitti interetnici e internazionali, che sembrano solo mutare luogo ma non diminuire né per intensità né per ferocia. Ci sconforta l’enorme difficoltà di far rispettare un diritto internazionale che prevenga i conflitti, faccia tacere le armi e promuova dialoghi di pace”.
I punti di vista del non credente Zagrebelsky e del credente Martini paiono convergere sull’idea che “la giustizia – afferma il primo – è un andare cercando le vicende concrete delle vita, non il trovare un concetto, un’idea astratta. Giusto tra noi è chi cerca la giustizia”. L’importante – conclude l’arcivescovo – è “lasciarsi inquietare dalle ingiustizie che sono nel mondo, non dare mai scontata una soluzione come fosse assolutamente giusta, e non cedere alla tentazione di disfattismo come se la giustizia fosse impossibile”. E, suggerisce da credente, “cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia: il resto vi sarà dato”.
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