Il tentativo di coinvolgere Georg e Joseph Ratzinger nello scandalo dei preti pedofili non è stato un esempio di informazione libera e priva di timori riverenziali. Ha rivelato invece il tratto ideologico di una certa campagna di stampa e confermato il degrado del circuito mediatico specialmente nel nostro Paese. I primi titoli cubitali sparati su Georg Ratzinger lasciavano intendere che gli episodi di pedofilia si fossero consumati quando lui era direttore del famoso coro dei “passerotti” di Ratisbona. Solo in un secondo tempo, quando la notizia era già entrata nelle case degli italiani, è stato precisato che le cose non stavano esattamente così. Che gli abusi sui giovani coristi erano avvenuti in anni in cui il fratello del Papa non era il direttore. Invece di fare ammenda per la faciloneria iniziale, alcuni organi di informazione hanno pensato di rifarsi sparando altri titoli sul presunto “mea culpa” di Georg Ratzinger. Ammissione di colpa che in realtà riguardava qualche scappellotto dato ai ragazzi: nulla a che vedere con molestie di tipo sessuale.
Anche con Joseph Ratzinger si è giocato sull’ambiguità. Il primo lancio di titoli lasciava intendere che l’allora arcivescovo di Monaco avesse saputo e lasciato agire indisturbato un prete con precedenti pedofili. In realtà nel 1980 il futuro Papa dette il suo assenso solo a che fosse ospitato, nella sua diocesi, un sacerdote sottoposto a psicoterapia per quei tristi precedenti. Altri, trasgredendo alla sua indicazione, permisero al prete di ripetere il male fatto. E comunque nessun atto esecrabile fu segnalato fino al 1982, anno in cui Ratzinger lasciò Monaco per venire a Roma su chiamata di Wojtyla.
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