Un serial tv, visto in tutto il mondo arabo ma non al Cairo, rilancia una figura importante e ambigua della storia egiziana. Senza scalzare l’unico vero mito: Nasserdi Ouissal Mejri
Suona la porta, è il postino. Il pacco mandato dalla Tunisia da mia madre è arrivato. Esaminando il contenuto – varie spezie e tanti libri – trovo un dvd. Incuriosita, lo inserisco subito nel lettore. Risultato? È da una settimana che non esco da casa e sono letteralmente inchiodata davanti allo schermo: maratona di puntate, voglio scoprire se re Farouk avrà finalmente un erede al trono. Diffusa durante il mese di ramadan sul canale saudita MBC, la serie sulla vita dell’ultimo re d’Egitto ha avuto un grandissimo successo nel mondo arabo però è stata censurata e è stata addirittura vietata la diffusione sugli schermi egiziani.
Al grande leader della rivoluzione contro gli inglesi, Nasser, è stata contrapposta l’immagine di un Farouk corrotto, ossessionato sessualmente e indeciso. Nella serie tv, però, viene dipinto con una nuova ottica, provocando un enorme dibattito. Si affronta la personalità controversa di un re da sempre considerato come uno sbandato sessuale, appassionato di gioco d’azzardo. A tutto ciò si aggiunge la vicenda dell’incapacità della coppia reale di avere un erede al trono.
La corte del re era in maggioranza composta da italiani e qualche parola pronunciata nel “Musalsal” (serie televisiva) mi riportano alla mia realtà. Farouk era molto affezionato agli italiani e aveva deciso di trascorrere i suoi ultimi giorni a Roma, dove morì in esilio nel 1965. Il dentista e scrittore Alaa Aswani, autore del best seller Il Palazzo Yacoubian, dichiara che quello che si vuole trasmettere tramite questa serie è la disperazione degli egiziani di fronte all’assenza attuale di democrazia nel governo di Hosni Mubarak.
A tale proposito Youssef Chahine, nell’intervista che gli avevo fatto a Bologna nel giugno 2005, aveva dichiarato che nel mondo del cinema egiziano «ci sono delle persone che parlano dei poteri dittatoriali. Esiste un nuovo movimento chiamato “Kifaya” – che significa “Basta” – perché il presidente Moubarak si vuole presentare alle elezioni un’altra volta dopo 23 anni. Il regista», continuava Chahine, «ha il compito di conoscere il suo popolo e di conoscere i loro problemi prendendo posizione con essi».
Nel suo film Saladin ,del 1963, lo stesso Chahine rende omaggio in modo sottile a Gamal Abdel Nasser. Il film è segno eloquente dei tratti comuni tra il Saladino e Nasser. Il regista vi aveva costruito una identificazione tra il sultano Saladin e Nasser, figura chiave per tutto il mondo arabo, poiché ha rappresentato il liberatore dell’imperialismo occidentale e anche colui che ha cercato un’unità araba tanto sognata ma mai raggiunta.
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