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Chi può immaginare la disperazione di un padre detenuto?
Mi chiamo Santino Stefanini e sono un padre detenuto dal 5 marzo del 1987
di Redazione
Sono arrivato in carcere quando mio figlio aveva poco più di sette mesi, oggi sta per compiere dodici anni. I primi due anni vedevo mio figlio un?ora alla settimana; quando mi vedeva mi faceva piccoli sorrisi, ma ero conscio che non provava quel legame, sia a causa dell?età che per la diversità di luogo in cui convivevamo. Questo per me era già una sofferenza. Dopo due anni venni trasferito all?isola della Gorgona e in quel carcere i rapporti divennero mensili. Ad ogni colloquio sentivo che per mio figlio era sempre più difficile, il suo affetto diventava sempre più sfuggente e la sensazione della mia impotenza sempre più tangibile. Anche i rapporti con la mamma erano andati man mano disgregandosi, purtroppo il carcere e la lontananza sfiancano ogni rapporto affettivo, quindi convenni che era giusto che lei si rifacesse una famiglia.
Quando mio figlio ha compiuto quattro anni, presi la decisione di sentirlo solo telefonicamente perché non volevo che capisse la mia condizione di carcerato. Quando telefonavo mio figlio mi diceva: «Papà quando la smetti di lavorare e vieni a casa?» Non ho idea di quante notti le lacrime abbiano bagnato il volto. Il dolore che provavo era inimmaginabile.
Un giorno, quando aveva compiuto sette anni, seppe che il suo papà era in prigione. Mi arrabbiai molto perché tutti i mei sacrifici di non vederlo non erano serviti a niente e oggi non so se sia stato giusto rinunciare a lui, visto che al solo vederlo e stringerlo era un attimo di gioia immensamente grande. Ripresi a vederlo. La prima volta era spaurito, dopo averlo abbracciato e baciato mi guardava come se fossi un estraneo, gli domandai se si ricordasse di me e mi fece cenno di no con il capo.
Fu un momento terribile, ma feci finta di nulla. Ricordo che dopo qualche colloquio un giorno si mise a piangere e mi disse che non ero mai stato con lui e non l?avevo accompagnato al suo primo giorno di scuola. Poi le mille domande che un bambino fa, alle quali si fatica a trovare una risposta. Provare a fargli capire perché mi trovo qui, perché la vita sia andata così e lottare con la paura che gli possa accadere qualcosa, che possa entrare nel vortice in cui sono capitato io. Oggi con mio figlio ho un bellissimo rapporto, parliamo molto, giochiamo, discutiamo sulla scuola e sul fatto che presto inizierò a benficiare dei permessi , potremo giocare insieme a pallone e fare i compiti insieme. Penso che anche lui mi senta forte come papà e abbia imparato ad amarmi come io amo lui. Ora vorrei solo che lui credesse in me e dargli un futuro migliore.
Stefano Santini,
carcere di San Vittore
Caro Stefano, la sua struggente testimonianza non ha bisogno di commenti; il dolore che lei esprime è immenso. In questi mesi si parla molto dei provvedimenti che verranno presi in futuro per favorire la scarcerazione dei ?bambini detenuti? e in alcuni casi delle loro madri. Però mi piace pensare che un giorno verrà presa in considerazione anche la disperazione dei padri detenuti.
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