Cultura

Chi ha paura di Anita B.?

L’ultimo film di Roberto Faenza, che parla di una ragazza ebrea scampata all'Olocausto, anche nei giorni a cavallo della Giornata della Memoria viene proiettato in pochissime sale perché i distributori lo hanno considerato troppo pessimista. Eppure, sostiene il regista, «è pieno di musica, balli e gioia di vivere»

di Redazione

Anita B. ha avuto scarsissima distribuzione nelle sale. La notizia, in sé, sarebbe una non-notizia, nel senso che non basterebbe lo spazio di un intero articolo per elencare tutte le pellicole meritevoli che finiscono nel dimenticatoio, per ragioni commerciali e non artistiche. In questo caso, vale la pena di spendere due parole in più per alcuni motivi.
 
Primo: è diretto da Roberto Faenza, che fino a prova contraria è uno dei registi italiani che ha lasciato un segno maggiore negli ultimi quarant’anni (lo stesso Aldo Moro, nei suoi memoriali, suggeriva di andare a vedere il suo film Forza Italia, per capire a quale livello di spregiudicatezza fosse arrivata la classe dirigente del tempo).
Secondo: oggi è la Giornata della Memoria, ed è un diritto di tutti sedersi comodamente in poltrona per seguire la storia di una ragazza, ebrea ungherese, riuscita a scampare all’inferno di Auschwitz.
Terzo: non è affatto deprimente, bensì è una storia tutta incentrata sulla volontà di rinascita di una giovane donna, che riesce ad affacciarsi alla vita dopo aver visto la morte in faccia.
Quarto: è nata una campagna su Twitter, #vogliamoanitabneicinema, che reclama a gran voce la programmazione nei centri in cui ancora non è arrivato –la campagna è diventata virale, e in un’epoca in cui i numeri hanno così tanta importanza, certamente queste persone che hanno espresso il proprio risentimento via web meritano attenzione.
Quinto: è intervenuto anche il capo dello Stato. «Il film – sono parole di Napolitano – mi è parso davvero originale e bello in quanto rappresentativo di una prospettiva nuova del dopo Shoah. Molto fine e delicata la storia e soprattutto la personalità della protagonista; assai forte, nella sua descrizione, il richiamo delle tante sfaccettature umane della tragedia vissuta dalle famiglie ebree nei paesi occupati dalle forze tedesche».
Ultimo, ma non per importanza: in tutta la città di Milano, che conta naturalmente un numero enorme di sale, non ce n’è una che abbia avuto il coraggio –ma forse è meglio dire, la sensibilità- di proiettare una storia che parla al cuore di tutti, senza distinzioni di razza o di religione. Quest’ultimo punto merita di essere approfondito: stiamo parlando di Milano, il capoluogo che tanto si è distinto nella lotta antifascista; una metropoli che a suo tempo fu capitale della cultura, ma ancora oggi si distingue per un’opinione pubblica decisamente più ricettiva rispetto ad altre realtà italiane. 
 

 
La speranza è davvero che questa mobilitazione –che ha coinvolto, come visto, il popolo della rete ma anche le più alte cariche dello Stato- sortisca il suo effetto positivo. Fermo restando che anche un film iper-pessimista, se ben fatto, merita di essere visto da quante più persone possibile, in questo caso specifico stiamo però parlando di un racconto ottimista, edificante nel senso più alto del termine. Di fronte alla tentazione “vittimista” di versare esclusivamente fiumi di lacrime pensando all’Olocausto, Faenza –e con lui, la protagonista del film- ha scelto di parlare di una ragazza che si rialza, che trova dentro di sé il desiderio, e la forza, di riconquistare la normalità del quotidiano.
 
Il regista riconosce che questa diffidenza dei distributori è anche colpa sua: non è riuscito a far veicolare il messaggio vero che voleva lanciare. Detto questo, non giustifica il comportamento dei distributori: «Gli esercenti sono gli unici commercianti che vendono qualcosa senza vederla. Non hanno visto il film per cui non hanno capito che è pieno di musica, balli e gioia di vivere».
Ad ogni modo, Faenza è un uomo di settant’anni che ha accumulato una lunga esperienza dietro di sé, perciò non è il tipo che si abbatte facilmente. Reagisce, come l’adolescente Anita: «Da un mese abbiamo iniziato il lavoro con gli studenti, c’è una lista lunghissima di istituti che si sono prenotati per organizzare le proiezioni. Penso che arriveremo a mostrarlo a 100.000 ragazzi, il che rappresenta un record assoluto. Il film verrà visto soprattutto dagli adolescenti e questo mi fa piacere, perché è la loro storia».
 
Il romanzo di Edith Bruck da cui è stato tratto il film si intitola Quanta stella nel cielo. Chi ha avuto il piacere di vederlo -ad esempio a Roma: per una volta, il “derby d’Italia” con Milano lo vince la Capitale- è convinto che questo film sia un’altra stella che brilla nel firmamento cinematografico. Qualcuno è interessato a non farla risplendere. Ma devono fare i conti con la caparbietà del regista torinese. E con la tenacia, ancor maggiore, degli utenti del web. 

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