Welfare

Chi ha paura dei pdz?

di Flaviano Zandonai

Qualche giorno fa sono stato a Torino per un master. Un vero master, pensato per persone che già lavorano e non come epigono di un qualche diploma di laurea per ritardare l’ingresso nel mercato del lavoro. Altro aspetto di interesse, l’aula. Composita – pubblico e non profit – e composta in gran parte di reduci dei piani di zona, gente che ha maturato competenze in prima linea gestendo o partecipanto ai vari “tavoli” del policy making. Dal confronto è emersa, evidente, una linea di frattura che fin qui ha impedito – salve buone prassi che andrebbero scovate – di chiudere il circuito tra programmazione locale e quella meso (regionale),  lasciando perdere quella nazionale tutta impegnata nella stesura di libri verdi ideologici e nostalgici delle vecchie relazioni industriali, in un paese dove la grande industria manifatturiera declina e i sindacati rappresentano soprattutto pensionati. Tornando ai Piani, mentre i valutatori si concentravano sulla qualità delle relazioni tra enti pubblici e terzo settore in sede di programmazione si perdeva di vista la questione “vera”, quella cruciale. Ovvero che molti enti regionali proseguivano imperterriti nella loro programmazione e implementazione delle politiche di welfare prescindendo dagli esiti della pianificazione locale. Invece di aprire un negoziato con gli uffici di piano per definire linee guida e allocazione di risorse (come peraltro fanno le stesse regioni con la Commissione europea per i fondi strutturali) si è preferito tirar dritto per la propria strada, secondo un approccio tipicamente top down. Con buona pace del protagonismo delle comunità locali, della sussidiarietà ecc. Ora però i tagli ai trasferimenti del governo centrale obbligheranno a una decisione drastica: lasciar perdere la programmazione locale (come peraltro proponeva anche qualche esponente “illuminato” del PD) o valorizzarla per davvero, per garantire trasferimenti di risorse economiche e di servizi davvero efficaci anche (e soprattutto) in tempi di vacche magre. I Piani di zona, nel frattempo, si sono fatti le ossa: hanno raggiunto il loro scopo: co-costruire un documento di programmazione anche in presenza di mandati vaghi, tempi ristretti e poche risorse. Hanno anche dato vita a un nuovo assetto di gestione dei servizi sociali (sotto il sole c’è di tutto: società pubbliche speciali, consorzi, fondazioni di partecipazione, Ipab riformate, ecc.). Potrà piacere o no, ma comunque la governance del welfare locale esiste e si consolida. Un vero e proprio processo di institution building. Che forse agli apparati regionali comincia a un pò paura. Forse anche alle articolazioni intermedie del terzo settore che hanno dovuto mollare la presa sugli ambiti locali, dove sta crescendo nuova dirigenza. Ma questa è dietrologia giusto?.

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