Politica
Chi è Roberto Formigoni? Il ritratto di Gaia Carretta
Gaia Carretta, già dirigente radicale e corrispondente alla camera per Radio radicale, è stata portavoce di Roberto Formigoni quando era presidente della regione Lombardia, ecco il suo ritratto
di Redazione
Ho conosciuto quest'uomo, quasi 10 anni fa. Era seduto nella sua poltrona e dalle finestre del suo ufficio si poteva scorgere il Monte Rosa e vedere quasi Lodi. Era un uomo sicuro di sè, circondato dalle foto con Mandela, Papa Giovanni Paolo II, don Giussani. Appoggiate ad un mobile c’erano delle calle bianche freschissime e mi ricordo che dando uno sguardo alla scrivania notai che il pc era spento e sopra c’era un santino di San Giuseppe. Non era la prima volta che avevo a che fare con lui, perché lo avevo incontrato quando vivevo a Roma e lo avevo intervistato diverse volte. Era però la prima volta che lui conosceva me e mi aveva voluto conoscere per darmi un lavoro, nonostante fossi una donna, nonostante non fossi di Milano e nemmeno lombarda e nonostante la mia formazione politica fosse totalmente opposta alla sua.
Quell'uomo chiedeva tanto, in termini di impegno fisico e intellettuale. Era capace di sciorinare versi in latino con citazioni che non avrei saputo ricordare nemmeno due secondi dopo, mi limitavo a fare sì con la testa per dare la parvenza di aver capito. Quel uomo il lunedì incontrava tutti i dirigenti della Regione, il martedì i membri dell’opposizione, il mercoledì partecipava al Consiglio Regionale, il giovedì partiva per Roma per la Conferenza delle Regioni, il venerdì radunava lo staff per le cose in sospeso e programmare la settimana successiva. Verso le 18 andava quasi tutti i giorni a messa. E io, per quasi tre anni, ho avuto la fortuna di seguire ogni suo passo, di essere la sua ombra, di sedergli a fianco ogni giorno, di ascoltare le sue telefonate, di sapere cosa avrebbe mangiato a pranzo, di sapere quanti km aveva corso, di riconoscere nelle sfumature del suo respiro il suo umore, anche se concretamente non c’è mai stata confidenza tra di noi.
Non ho mai avuto l’impressione di lavorare per un ladro, un corrotto, un poco di buono. Era vero che girava sempre senza soldi e che non pagava mai nulla e che io lo facevo per lui, ma mi veniva tutto puntualmente rimborsato. Mi sono data una spiegazioni a tutto questo: come memores, lui non era il detentore della gestione “cassa” in casa e tutto ciò che era suo era anche dei suoi coinquilini. Ho conosciuto altri memores in questi anni e ho capito che il denaro e le cose materiali sono quello che sono, per loro natura effimere. Ho capito anche una cosa stando vicino al mondo cattolico di Cl, che esiste la confessione ad ogni peccato, purché non sia mortale. E quindi è come se tutto fosse sempre concesso. Sapevo che Simone era uno dei suoi migliori amici. Sapevo che la sua ambizione era quella di sfondare a livello nazione e la sua scelta era caduta su di me proprio con questo scopo. Sapevo che il suo era un odio-amore con Berlusconi, e che avrebbe voluto essere il suo successore, assumendo la leadership del centrodestra. Sapevo che il sistema sanitario lombardo era considerato uno dei migliori al mondo e questo grazie alla sua riforma regionale, che dopo molti anni doveva comunque subire una revisione. Sapevo che i politici della sua generazione (perché li ho visti con i miei occhi vivendo a Roma) accettavano vacanze, cene, case (vi ricordate lo scandalo della Propaganda Fides?), feste pagate, etc. E non ho visto nessuno di questi finire in galera.
Con questo non voglio dire che fosse giusto e corretto quel sistema. All’epoca vedevo un uomo che pretendeva il massimo da tutti, lo vedevo che quando camminava lasciava una scia e non era il codazzo di persone che si portava sempre dietro, ma il carisma che emanava. Era arrogante e la sua erre moscia dava ancora più senso di altezzosità. Forse nell’ultimo periodo ha pure un po’ esagerato, non lo metto in dubbio. Ha fatto molti errori, tanti dei quali io non ne sono nemmeno a conoscenza. Non voglio nemmeno giudicare una sentenza che ha raccolto prove su prove, confermata da tutti i tribunali. Dico solo che sono triste, perché di fronte a questa sentenza definitiva non si fa male ad un solo uomo, si fa male ad un paese intero, che con un solo colpo mette in galera qualcuno che qualcosa di buono lo ha fatto e che si è comportato né più né meno di tanti altri che non hanno avuto il suo processo. Sono arrabbiata, perché lasciare che quest’uomo entri nelle patrie galere significa che lo Stato ha perso credibilità nel suo sistema e che vale tutto. Il giudizio morale viene prima di tutto. Oggi leggo tanti che lo difendono, quando all’epoca dei titoloni sull’inizio indagini urlavano “in galera”.
Oggi lui è entrato in galera. Siamo tutti più sollevati? No. Rimane un senso di vuoto e di profonda tristezza. Tristezza prima di tutto perché facciamo di quel uomo, che degli errori li ha commessi, la vittima di un sistema giudiziario che oggi viene ritenuto troppo punitivo, ma è obbligato ad applicare una legge. Quanti di noi hanno lo hanno votato o si sono fermati per strada a fare con lui un selfie, o gli hanno gridato vedendolo passare “Grande Roberto!” e lui rispondeva con un “Ciao”. Umiliato, ma sono certa che sia ancora forte. E’ stato spazzato via, ma questo non bastava, bisognava anche ucciderlo. Spero di rivederlo uscire da lì, sorridere e fare il segno roger dal finestrino dell’auto. Scusate questo sfogo disordinato, ma non riesco a mettere insieme parole adatte a questo momento. Qualcosa però lo volevo dire. Non rileggo nemmeno.
Questo ariticolo è stato pubblicato il 23 febbraio da Leopost
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