Welfare

Chi è Michele Vietti, sottosegretario “contro”. Il mio diritto di traverso

Da giurista ipermoderato a strenuo difensore dell’indulto e del no alle interpretazioni di Castelli sulle rogatorie. E' nata una stella?

di Ettore Colombo

E’ l?uomo che ha ?sparigliato le carte?, il sottosegretario alla Giustizia, Michele Vietti, torinese (ma della provincia), ex componente laico del Csm, carica dalla quale si è dimesso appena è entrato in Parlamento nelle file dell?Udc. Sponsor di un?importante riforma del diritto societario che alla fine, e dopo molte battaglie, tutela il mondo delle cooperative molto meglio di quanto non sembrava all?inizio (per colpa del solito Tremonti che aveva intenti punitivi nei confronti delle coop, specie di quelle rosse), Vietti non è certo classificato come uno dei pontieri dell?Udc in odore di larghe intese ma ha ugualmente tenuto sulla corda la maggioranza di governo per un?intera settimana. Con i magistrati ha polemizzato duramente, difendendo il progetto di separazione delle funzioni (ma non delle carriere, e lui ci tiene a sottolineare la differenza) che il governo porta avanti, anche se la stessa Anm ha avuto parole di stima per lui proprio mentre imbracciava il muro contro muro con il ministro Castelli. Ecco, appunto: Roberto Castelli, il ?suo? ministro di Giustizia che voleva bloccare le rogatorie della magistratura milanese su Mediaset e sul premier. Vietti, che pure ha polemizzato con la procura di Milano e appoggiato la legge Cirami (suo collega di partito), non ha avuto dubbi: “pacta sunt servanda”, ha fatto sapere al ministro, arrivando al punto di minacciare le dimissioni. Castelli ha tenuto duro per qualche giorno, confortato dal muso duro di Bossi e dello stesso Berlusconi, ma alla fine ha ceduto, di fronte al Senato riunito solo per discutere del suo caso e sotto la spada di Damocle di una mozione di sfiducia individuale presentata dall?Ulivo e che il partito di Follini minacciava di votare, aprendo la crisi di governo. Proprio come Vietti minacciava di dimettersi se l?interpretazione che aveva sostenuto di fronte alle Camere (spesso anche da solo) del lodo Maccanico fosse stata piegata “ad usum delphini” dal ?suo? ministro. Vietti è rimasto calmo, nonostante le frecciate al vetriolo di Castelli (“Non ho mai visto un democristiano dimettersi?”) e i boatos che lo volevano isolato nel partito: “Vietti è l?Udc”, ribatteva Follini. è andata a finire come si sa, e cioè con l?arringa di Castelli al Senato che non gli ha evitato l?onta di dover cedere sull?ennesimo fronte di guerra contro la magistratura. Vietti non parla, anche se aveva promesso di farlo con Vita, perché la giornata non è delle più serene, ma rimane che non ha ceduto e che lui, ipermoderato della Casa delle libertà, è diventato un eroe per l?Ulivo, anche se più che uomo del dialogo ha recitato la parte dell?uomo delle istituzioni contro l?uomo delle interpretazioni (Castelli). Al suo posto, dove resta, Vietti una promessa ci tiene a farla: “Quella sull?indultino è stata una battaglia persa, ma un provvedimento di clemenza e indulto è improcrastinabile e su di esso bisogna impegnare il governo”. E in caso contrario? Beh, il tecnico del diritto Vietti è pronto a rimettersi di traverso.


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