È la donna che sta facendo tremare il partido dos Trabalhadores di Lula e che ha rinviato il sogni presidenziali di Dilma Rousseff, la “delfina” dell’ex sindacalista, “rubandole” milioni di voti. Proprio lei, che nel partito del Presidente ha militato per 30 anni, ha fatto saltare tutti i piani di Dilma.
Lei è Marina Silva, 52 anni, dal 30 agosto entrata ufficialmente nel Partido Verde (PV) che l’ha candidata alla poltrona presidenziale. Nel maggio 2008 aveva sbattuto dietro di sè la porta dell’ufficio in cui per cinque anni e mezzo aveva lavorato come Ministro dell’Ambiente di Lula e a lasciare il PT, “troppo poco attento all’Amazzonia” a suo dire.
Marina Silva è la politica più “verde” del Brasile, ha sempre lottato per i diritti degli indios e per il polmone verde del mondo dov’è nata e cresciuta e proprio per questo suo impegno nel 2009 la Norvegia l’ha insignita con il Sophie Prize, una sorta di Nobel ambientale.
A guardarla mentre ci apre la porta del suo appartamento di Brasilia colpisce la sua fragilità. Statura media, neanche 50 chili di peso, carnagione scura, tipica di chi, per generazioni ha raccolto caucciù come i suoi genitori la Silva è, in realtà una grande lottatrice (“mi dissero persino che non avrei potuto avere figli e invece… Sono contro l’aborto e non ho paura a dirlo, anche a costo di perdere tutti i voti”) e contro la corruzione dilagante nella vita politica brasiliana.
Sempre con idee “visionarie” e “sostenibili dal punto di vista ambientale” perché, spiega, “se mi fossi limitata a fare calcoli in termini pragmatici non avrei mai fatto nulla in politica dove bisogna seminare per il futuro e non speculare sul breve termine”.
Idee visionarie come quelle di Chico Mendes, suo grande amico ammazzato nel 1988 da killer assoldati da fazenderos senza scrupoli. Con lui Marina aveva fondato nel 1985 il sindacato dell’Acre con l’obiettivo di proteggere l’Amazzonia e gli indios, i suoi abitanti più deboli.
Per questo Chico Mendes fu ucciso allora e sempre per questo oggi Marina si è candidata alla presidenza della Repubblica come “verde”, impedendo grazie ai 20 milioni di voti ricevuti – una sorpresa assoluta – la vittoria al primo turno di Dilma.
Una storia la sua che è poi la storia del Brasile, una sorta di “Lula in gonnella”.
Figlia di seringueiros infatti la Silva era destinata ad una vita da analfabeta se non fosse stato per il piombo che il suo sangue aveva assorbito in una delle insalubri palafitte in cui viveva con la sua famiglia. A salvarla a 16 anni fu il Vescovo, Monsignor Moacyr Grechi, che la portò via dal villaggio di Breu Velho per farla curare a Rio Branco, la capitale dello stato amazzonico dell’Acre. “Anche la malaria che mi ha colpito per 5 volte nei miei primi 16 anni mi ha indebolito il fisico ma, grazie a Dio, quel trasferimento mi permise di imparare a leggere e a scrivere”, racconta lei orgogliosa. Ma la sua fragilità è davvero solo apparente. Bastano dieci minuti per rendersi conto della forza trascinante che l’accompagna dentro. “La mia candidatura alla presidenza del Brasile è stata come la lotta di Davide contro Golia”, ci spiega.
Golia naturalmente è Dilma.
Nel 2003 quando fu nominata ministro dell’Ambiente Marina stava davanti a Dilma (che non era neanche ministro) nelle preferenze dell’ex sindacalista presidente. Poi, dal 2005, le politiche sempre “meno sostenibili in merito all’Amazzonia” del governo Lula avevano relegato Marina al ruolo di simbolo, da esibire soprattutto a livello internazionale nelle sue vesti di ministro dell’Ambiente.
Lei ha resistito ma poi, quando ha capito che avrebbe “difeso meglio l’Amazzonia e gli indios da fuori” ha scritto una bella lettera a Lula, rassegnando le dimissioni in modo irrevocabile. Domenica 3 ottobre, al primo turno, “Davide” Marina si è presa la sua vendetta personale, contro Lula e la sua “delfina” “Golia”.
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