Welfare

Chi è Carlo Renoldi, nuovo capo del Dap, e cosa dovrà fare secondo il Terzo Settore

Carlo Renoldi è un teorico del carcere “compatibile con la Costituzione”, come decenni invoca - e mette in pratica ogni giorno il Terzo settore «responsabile dell’ottanta per cento delle attività trattamenti e rieducative secondo Costituzione», afferma Ornella Favero, presidente della Conferenza nazionale volontariato e giustizia e direttrice di Ristretti Orizzonti

di Luca Cereda

Ha un nome il nuovo capo delle carceri – il Dap, ovvero il dipartimento amministrazione penitenziaria – scelto direttamente dalla ministra della Giustizia. Si chiama Carlo Renoldi, ha 53 anni, è originario di Cagliari, e in passato, è stato magistrato penale e poi di sorveglianza nella sua città. Magistrato che non ha mai cercato la ribalta mediatica, è poco noto fuori dalla cerchia interna alla categoria.

Marta Cartabia per questo ha chiesto al Csm di mettere “fuori ruolo” Renoldi, oggi giudice della prima sezione penale della Cassazione. Tra i suoi riferimenti e maestri, Renoldi ha Alessandro Margara, che fu capo del Dap ed è passato alla storia perché trattava i detenuti come uomini con diritti, una rivoluzione allora anche se questo era scritto in calce nella Costituzione. Il suo era un "carcere dei diritti". Sia dei detenuti, sia degli agenti.

La sua nomina è in continuità sia con gli orientamenti della Corte Costituzionale in materia di carcere, a partire dalla recente ordinanza che ha dichiarato incostituzionale il carcere duro senza benefici per i condannati ostativi – 41 bis – che non hanno collaborato con la giustizia, ma anche con la linea della ministra della Giustizia, Marta Cartabia, sulla funzione riabilitativa del carcere. «Sono per un carcere costituzionalmente compatibile. Un carcere dei diritti, in cui però siano garantite le condizioni di sicurezza», ha scritto recentemente lo stesso Renoldi.

«Non serve un “superuomo”, ma un gruppo che giochi di squadra»

«Un uomo solo al comando non basta, e non serve. Da parte di Renoldi, ma soprattutto della Ministra Cartabia, occorre un passo avanti verso il Terzo settore: qualcuno deve iniziare a prendere atto del fatto che l’80 per cento delle attività trattamentali e rieducative in carcere sono fatte dal mondo del volontariato e delle cooperative sociali. Questo è il mandato costituzionale primo, e quello più disatteso, ancora di più in tempo di pandemia», ragiona Ornella Favero, presidente della Conferenza nazionale volontariato e giustizia e direttrice di Ristretti Orizzonti. Che aggiunge: «Speriamo venga fatto un gruppo operativo, non l’ennesima commissione. Si deve mediare con le diverse componenti del carcere, anche con la Polizia penitenziaria. Dobbiamo superare il clima autarchia carceraria di questi anni, che lo isola ancora di più: bisogna mettere in campo le forze che conoscono il carcere e sanno di cosa ha bisogno per cambiare, e che si mettono a disposizione. A partire dai volontari delle associazioni e dagli operatori delle cooperative sociali», aggiunge Favero.

Tra i “rischi” di questo incarico per Renoldi, c’è l’eventuale scadenza naturale di questa XVIII legislatura della Repubblica Italiana. Tra meno di un anno.

«Come Terzo settore sappiamo le difficoltà a cui andrà incontro. Difficoltà in cui riversa il sistema carcere e non per via della pandemia, ma già da prima. I capi del Dap devono considerarsi dei “curatori fallimentari”, così Draghi e Cartabia hanno definito il carcere a Santa Maria Capua Vetere, un fallimento. Da curatore fallimentare deve vedere cosa c’è di positivo, preservarlo e valorizzare e poi lavorare sull’eliminazione di quello che c’è di negativo. La nostra esperienza di Terzo settore, presente da più di trent’anni si mette a disposizione», spiega Nicola Boscoletto, fondatore della cooperativa sociale Giotto e presidente del consorzio sociale Giotto di Padova.

Il Terzo settore deve poter contare nel percorso rigenerativo del carcere

«Quando una persona mette una camicia sporca in lavatrice, si aspetta che esca più pulita. se la camicia esce più sporca non è colpa della camicia, ma della lavatrice. Ecco, il carcere lavatrice non funziona. Questa è un’eredità lunga. Non deve Renoldi pensare di essere responsabili per tutto. Ma, anche alla luce della riforma del Terzo settore che dà piene cittadinanza alla società civile anche in carcere, possiamo essere uno strumento – per volontà nostra e per responsabilità civile – utile per non dire fondamentale per ripensare il sistema», chiosa con una metafora calcante Boscoletto a cui si aggiunge l’immagine di Favero: «I cittadini hanno protestato per il prolungamento pomeridiano dell’orario delle Poste, e non senza fatica, lo hanno ottenuto. Le carceri sono deserte da dopo le 15 del pomeriggio. E i detenuti non hanno la voce che hanno avuto i milioni di italiani con le Poste».

Il capo del Dap è chiamato ad essere anche quella voce, partendo «dagli affetti, dalle videochiamate alle telefonate quotidiane fino agli incontri in presenza. Sostenere gli affetti delle persone detenute, a partire dall’uso allargato al massimo delle tecnologie. Se a inizio lockdown fossero state subito messe in atto le misure per ampliare il numero delle telefonate, forse la paura e la rabbia sarebbero state più contenute, ma quello che non si può più cambiare ci deve però insegnare per il futuro, e il primo insegnamento è che, quando finirà l’emergenza, non vengano tagliate le uniche cose buone che la pandemia ha portato, il rafforzamento di tutte le forme di contatto della persona detenuta con la famiglia», rilancia Ornella Favero.

«Ha più un profilo da garante dei detenuti che da capo del Dap»

Il suo profilo considerato progressista e riformatore in tema di gestione del carcere, però, non convince i sindacati di polizia penitenziaria, visto che Renoldi assumerà anche il ruolo di capo del corpo. «Renoldi non dimentichi che dovrà rappresentare coloro che pressoché quotidianamente hanno a che fare con detenuti che mettono a repentaglio l’ordine e la sicurezza della sezione detentiva», si legge in un comunicato del Sappe, «Per quello che ha detto nel passato, dunque, credo che Carlo Renoldi sarebbe più indicato per fare il garante dei detenuti che non il Capo del Corpo di Polizia Penitenziaria».

Calca la mano lo stesso Donato Capece, segretario generale di Sappe: «Oltre ad un lauto stipendio avrà anche una mega indennità come Capo del Corpo di Polizia Penitenziaria, ossia di coloro che in carcere sono in prima linea, spesso soli su quattro piani detentivi, con 300 detenuti da controllare, tra i quali un buon dieci per cento psicopatici, un altro trenta per cento extracomunitari e un trenta per cento tossicodipendenti».

Le posizioni sull’antimafia

A rendere quantomeno divisivo il profilo di Renoldi, ci sono anche le sue prese di posizione, oltre che sul tema dell’ergastolo ostativo, sul tema dell’antimafia e della gestione del carcere.

In un convegno nel capoluogo toscano nel 2020, ha parlato della sua idea di Dap, spiegando che «che in questi anni è rimasto profondamente ostile a quegli istituti che tentano di varare una nuova stagione di diritti “giustiziabili” per le persone detenute. Un atteggiamento miope di alcune sigle sindacali che declinano ancora la loro nobile funzione in una chiave microcorporativa».

Nella stessa sede è stato molto critico anche su alcune posizioni interne all’antimafia in materia di carcere: «Pensiamo all’antimafia militante arroccata nel culto dei martiri, che certamente è giusto celebrare, ma che vengono ricordati attraverso esclusivamente il richiamo al sangue versato, alla necessaria esemplarità della risposta repressiva contro un nemico che viene presentato come irriducibile, dimenticando ancora una volta che la prima vera azione di contrasto nei confronti delle mafie, cioè l’affermazione della legalità, non può essere scissa dal riconoscimento dei diritti».

Necessità future e bisogni contingenti del carcere

«Bisogna mappare le esperienze di giustizia riparativa realizzate negli istituti penitenziari, a cominciare dai percorsi di autentica rieducazione in cui famigliari di vittime di reati, come Agnese Moro, Fiammetta Borsellino, Silvia Giralucci accettano di entrare in carcere e di aprire un dialogo con le persone detenute, come già si è sperimentato a Padova. Perché questi conflitti, affrontati solo con rapporti disciplinari, perdita della liberazione anticipata, trasferimenti, alla fine allungano la carcerazione delle persone punite e non affrontano affatto il tema cruciale, che è quello della difficoltà a controllare l’aggressività e la violenza nei propri comportamenti», spiega Favero che come presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e direttrice di Ristretti Orizzonti ha scritto recentemente alla ministra Cartabia un decalogo di iniziative su cui lavorare insieme in carcere perché “un uomo solo al comando” delle carceri non basta.

Tuttavia, il rischio è che l’inattesa nomina del nuovo capo del Dap Renoldi crei nuovi ostacoli politici all’approvazione del ddl. Il testo e la nomina del relatore – il presidente del M5S della commissione Giustizia, Mario Perantoni – sono stati votati da tutti i partiti della maggioranza e anche da Fratelli d’Italia. Questa larga convergenza, però, potrebbe guastarsi proprio in seguito alla scelta di Renoldi.

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