Famiglia
Chi dà una casa ai Rom é razzista?
Stefano Vitali, assessore di Rimini, voleva offrire un futuro diverso ad alcune famiglie nomadi. I media l'hanno massacrato, ci spiega perché.
di Redazione
All?inizio di maggio, una proposta del Comune di Rimini ha destato scalpore e indignazione: si voleva finanziare i Rom della città con 20 milioni a famiglia perché lasciassero il loro campo abusivo. Una decisione che molti media italiani e stranieri, tra cui il Washington Post e la Bbc, hanno definito razzista. Stefano Vitali, l?assessore che ha avanzato la proposta, spiega con questo intervento i veri contorni del problema.
Ci sono problemi dei quali non si parla mai volentieri: fra questi, senza dubbio, c?è quello dei nomadi. E dire che invece si tratta di un argomento che più di ogni altro richiederebbe di essere affrontato con decisione e, perché no, con spirito innovativo e con una coerenza capace di andare al di là delle polemiche. La proposta che è stata avanzata a Rimini, al di là di ogni forma di strumentalizzazione, va in questo senso.
C?è innanzitutto un quadro di riferimento. A Rimini ci troviamo di fronte a un campo nomadi che deve essere chiuso, perché le sue condizioni non sono sufficienti a garantire una vita minimamente degna; perché la concentrazione umana è eccessiva; perché – non mi nascondo dietro a un dito – quella presenza crea problemi di convivenza con il resto della popolazione. Da qui la necessità di affrontare l?argomento. L?idea base dalla quale siamo partiti è semplice: incentivare le famiglie nomadi ad acquistare un pezzo di terreno sul quale installare la propria roulotte, senza creare – almeno in questa fase – nuove sovrastrutture e diluendo nel contempo la loro presenza sul territorio.
Nell?articolare il progetto si è partiti dalla considerazione di una necessità di fondo: uscire dalla logica dei campi nomadi che in tutta Italia sono diventati – o stanno diventando, o rischiano di diventare – dei ghetti sempre più invivibili. E dove c?è un ghetto l?integrazione, quella vera, non può esistere. La proposta di incentivare i nomadi all?acquisto di un terreno, sul territorio comunale o altrove, secondo la libera scelta dei singoli, è dunque in primo luogo un modo per superare la logica dei ?campi? e risolvere il problema in maniera chiara, solidale e definitiva. Alternative serie e valide, sulla carta, non ce ne sono poi molte.
Creare nuovi campi significherebbe investire energie (pubbliche e del volontariato) in un progetto che in breve tempo rischierebbe di ricostruire ciò che si va a chiudere, vista anche la difficoltà di convivenza fra le varie famiglie in ambienti ristretti. Continuare nell?assistenzialismo fine a se stesso significherebbe proseguire nell?elargizione di contributi a pioggia senza dare dignità ai nomadi, e limitandosi a gestire un problema nella logica della riduzione del danno. Una logica che, come sappiamo, porta spesso a commettere errori che si accavallano ad altri errori. Non lo nego. A margine della proposta di Rimini c?è anche una considerazione di carattere più squisitamente economico. I contributi che sarebbero necessari per questa operazione sono pari a circa mezzo miliardo di lire: mezzo miliardo con il quale ?incentivare? 21 famiglie ad acquistare un terreno sul quale stabilirsi. Ebbene, quel mezzo miliardo è quanto si spende in un anno a Rimini per la manutenzione dei campi e le spese generali, per tenere aperta una struttura da chiudere perché non in grado di dare risposte ai nomadi e che crea problemi a una parte della città. Si parla insomma di una cifra che viene spesa tutti gli anni senza ritorno, né per la comunità (che continua ad avere problemi di convivenza), né per i nomadi, costretti a vivere in strutture inadeguate.
Di certo questa non può e non vuole essere una ricetta: probabilmente non può esistere una soluzione valida per ogni dove. La nostra proposta infatti non solo non è generalizzata, ma sarà rivolta esclusivamente – se verrà approvata – alle 21 famiglie che vivono da tempo in quel campo, visto che non è nostra intenzione comportarci come è stato fatto in altre parti d?Italia, dove il ?campo nomadi? è stato chiuso senza dare un?alternativa seria e credibile. O lasciare che in questi campi schifosi si muoia.
Nella costruzione del progetto ci si è confrontati con il mondo del volontariato e con gli stessi nomadi. Il nostro non è un ?dare soldi?, ma un aiutarli a trovare quella che per loro sarà una casa, cioè un terreno su cui posare la propria roulotte, in cui vivere con il proprio nucleo famigliare senza costringerlo in recinti che creano solo emarginazione, senza regole e senza la possibilità di integrazione, ma anche senza limitare in alcun modo la libertà di movimento dei singoli nuclei famigliari. Ognuno potrà scegliere dove stabilirsi e il contributo verrà erogato esclusivamente a fronte del contratto d?acquisto.
Questa è la situazione. Una situazione che mi sembra molto più semplice di come è stata dipinta. Che sia una scelta di sinistra o di destra, come mi è stato chiesto più volte, non sono in grado di dirlo, e non è un dibattito in grado di appassionarmi. Di certo è una possibile soluzione, visto che parliamo di persone con pieni diritti che devono imparare, attraverso un coinvolgimento nella società, a rispettare anche i doveri. Doveri – come ho detto più volte – che è difficile far capire in condizioni umanamente difficili come quelle dei campi nomadi.
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