Volontariato

Chi ci dirà che Cia fa rima con bugia?

Dopo l’11 settembre. La débacle dell’informazione Usa

di Fabrizio Tonello

Eravamo tutti parte dello sforzo bellico. Gradualmente, ci abituammo all?idea che la verità su ogni avvenimento era segreta e che sfiorarla significava interferire con lo sforzo bellico». Così scrisse John Steinbeck nel 1959, descrivendo gli anni passati al fronte come corrispondente di guerra. Ci sarebbe bisogno di uno Steinbeck oggi, negli Stati uniti, dove solo Susan Sontag ha avuto il coraggio civile di scrivere sul New Yorker che gli attentati dell?11 settembre non erano affatto il frutto di una follia individuale, né l?inizio di uno ?scontro di civiltà?, bensì il prodotto di una serie di decisioni politiche dei governi degli Stati uniti e, in particolare, del loro sostegno al regime dell?Arabia saudita.
Come diceva ancora Steinbeck, «non voglio dire, con questo, che i giornalisti fossero dei bugiardi. Non lo erano. (?) è nelle cose non ricordate che si annida la menzogna». Già, le cose non menzionate, come il fatto che bin Laden è un saudita e che i suoi seguaci, lungi dall?essere pastori afghani, appartengono alle classi medie di paesi filoccidentali come l?Egitto e l?Arabia Saudita. Paesi i cui regimi non durerebbero sei mesi senza l?appoggio degli Stati uniti. Dalla Cnn fino alla Padania, il mondo dei media occidentali si è istantaneamente adattato all?idea che la verità su ogni avvenimento è segreta e che sfiorarla significa interferire con lo sforzo bellico. Così, la colpevolezza di Osama Bin Laden è stata proclamata su tutti i canali televisivi prima ancora che le Twin Towers finissero di crollare al suolo. Non c?erano, è vero, molti altri sospetti, ma anche in occasione dell?attentato contro un palazzo del governo federale a Oklahoma City, nel 1995, si gridò all?arabo, provocando alcuni linciaggi, prima di scoprire che il responsabile era un bravo ragazzo, anzi un reduce della guerra del Golfo, che aveva preso troppo sul serio la storica ostilità dell?America rurale nei confronti del governo di Washington. Timothy McVeigh uccise 168 persone ma nessuno chiamò a uno ?scontro di civiltà? contro le milizie di estrema destra che erano state il brodo di cultura dell?attentato.
Ma diamo pure per scontato che Bin Laden sia l?organizzatore dell?attacco.Il segretario di Stato, Colin Powell ci assicura che tutte le prove saranno rivelate al mondo, solo per farsi smentire nelle 24 ore dal ministro della Giustizia, John Ashcroft che dice: «Dobbiamo proteggere le nostre fonti». Il primo ministro inglese Tony Blair, con la sua aria da presentatore del telegiornale, ci assicura che le prove sono ?schiaccianti?. Saremmo felici di crederci, se un certo Hiram Johnson, nel 1917, non avesse concisamente espresso il suo pensiero sui rapporti tra guerra e informazione: «Quando c?è la guerra, la prima vittima è la Verità». Hiram Johnson non era islamico e neppure bolscevico: era un senatore degli Stati uniti cui l?isteria bellica non piaceva. Comunque sia, è Bin Laden e dobbiamo fare qualcosa per fermarlo, ci scrive dall?America un amico le cui credenziali pacifiste sono impeccabili. D?accordo, ma l?idea che per le prossime settimane, anzi mesi, anzi anni, saranno i militari a decidere cosa possiamo e cosa non possiamo sapere ha qualcosa di preoccupante. Dall?International Herald Tribune di qualche giorno fa scopriamo che ?da anni? la Cia, con l?approvazione dell?amministrazione Clinton, stava cercando di uccidere il nemico n. 1 degli Stati uniti. Non chiedere l?estradizione, magari rapirlo per processarlo davanti a un tribunale americano o davanti alla Corte internazionale dell?Aja, no: si dice proprio ?uccidere? Bin Laden. Che questo sforzo, peraltro fallimentare, abbia avuto una qualche influenza nella decisione dei terroristi di colpire New York e Washington? Sempre in materia di informazione, la notizia che la caccia a Bin Laden era in corso da anni è in contraddizione con un?altra rivelazione apparsa sulla stampa americana. Questa viene dalla Nsa, la National security agency che per mestiere ha quello di intercettare tutte le comunicazioni elettroniche del mondo: Bin Laden, fino al mese scorso, telefonava regolarmente alla madre in Arabia usando una rete satellitare soggetta alle intercettazioni Usa. «Poi ha smesso e lo abbiamo perso», ha dichiarato una fonte anonima della Nsa, ammettendo implicitamente che loro sapevano dove si trovava. Chi spiegherà il motivo per cui non si è giudicato opportuno passare l?indirizzo ai colleghi? Prima di prendersela con la Nsa, è bene ricordare che la Cia, dal canto suo, aveva segnalato due dei dirottatori all?Fbi al momento del loro ingresso negli Usa, ma l?Fbi li aveva persi all?uscita dall?aeroporto.
Ecco, mentre Berlusconi, Baget Bozzo e Panebianco indossano l?elmetto e fanno a gara per rendere l?Italia ridicola, vorremmo che qualcuno conservasse un po? di buon senso. Ci basterebbe che gli editorialisti ricordassero che spesso «il patriottismo è l?ultimo rifugio dei furfanti», almeno secondo un certo Samuel Johnson, che era inglese e non poteva essere nichilista perché Friedrich Nietzsche sarebbe nato solo nel secolo successivo.

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