Mondo

Chi c’è dietro l’invasione in Somalia?

Secondo "Le monde" ci sarebbero gli Stati uniti

di Joshua Massarenti

Dopo il rapimento delle due operatrici umanitarie di Medici Senza Frontiere Spagna nel campo profugo di Dadaab, in Kenya, l’esercito del paese sta lanciando una vasta offensiva militare in territorio somalo.

Ufficialmente il governo di Nairobi ha giustificato l’invasione dei suoi soldati in Somalia con la «necessità di difendere l’integrità territoriale del Kenya» e di «andare a caccia dei terroristi islamisti del movimento somalo Al Shabaab», accusati di essere all’origine del sequestro di Montserrat Serra, una catalana di 40 anni, e di Blanca Thiébaut, 30 anni e originaria di Madrid.

Il ministro della sicurezza interna keniota, George Saitoti, ha dichiarato sabato scorso che il Kenya intende creare una zona cuscino di 100 chilometri di larghezza all’interno del territorio somalo lungo la frontiera tra il Kenya e la Somalia. “La nostra integrità nazionale è compromessa dalle gravi minacce terroristiche, non possiamo tollerare che ciò possa ripetersi” ha dichiarato Saitoti. «Questo significa che d’ora in poi perseguiteremo i nemici, ovunque si trovino. Si tratta degli Shabaab».

Il fatto che il governo keniota sia disposto a colpire gli shabaab “ovunque si trovano” in chiara violazione con l’obiettivo di creare una banda di sicurezza di 100 chilometri in Somalia. In realtà dietro l’offensiva del Kenya si nasconde una guerra non dichiarata sostenuta dagli Stati Uniti e dai paesi della regione per dare il colpo di grazia a un movimento islamista somalo “in piena crisi”.

A rivelarlo è il corrispondente di Le Monde in Africa, Jean-Philippe Rémy, nel suo servizio pubblicato in terza pagina dell’edizione uscita oggi in edicola. Secondo Rémy, «l’ipotesi di un intervento del Kenya nel sud della Somalia era in discussione da due anni, e già all’epoca gli Shabaab avevano minacciato di portare la guerra sul suolo keniota. Dei piani discreti sono stato elaborati per fare intervenire i paesi frontalieri della Somalia, tra cui l’Etiopia, che ha l’abitudine di operare in un paese che considera il suo cortile strategico, al punto da invadere la Somalia nel 2006 con l’appoggio degli Stati Uniti».

Con gli attentati anti-ugandesi di Kampala (i cui militari compongono una buona parte delle truppe della Missione dell’Unione Africana in Somalia, AMISOM) organizzati dagli Shabaab, l’IGAD (l’organismo regionale del Corno d’Africa nel quale l’Etiopia e il Kenya sono molto influenti) aveva definito nel 2010 un piano militare per cacciare i terroristi islamici. «Con l’appoggio dei suoi donatori internazionali, l’Amisom doveva essere rafforzata per riprendere Mogadiscio e le province periferiche della capitale somala». Cosa fatta dall’estate scorsa. Dal canto suo, «l’Etiopia doveva intervenire lungo la frontiera con la Somalia, mentre il Kenya lo avrebbe fatto nelle regioni meridionali del Basso Juba e di Gedo. Oggi è questo piano che è messo in pratica. La sua realizzazione supera largamente il quadro dei recenti rapimenti, ma corrisponde a un episodio di guerra in gran parte clandestina contro il terrorismo».

Gli alleati dell’ultra corrotto Governo di transizione somalo vogliono dare il colpo di grazia a un movimento Shabaab in grandi difficoltà negli ultimi sei mesi secondo Le Monde. Nonostante le sconfitte registrate a Mogadishu, gli Shabaab possono ancora dare filo da torcere.«Nel Sud del paese, delle sacche di resistenza anti-Shabaab sono state create dalle milizie Ras Kamboni o alcuni gruppi armati come Ahlu Sunna Wal Jammah. Sotto patrocinio etiope o keniota, questi gruppi non sono riusciti a sconfiggere gli Shabaab».

Oggi il movimento islamista è pronto a vendere cara la sua pelle. Negando categoricamente ogni implicazione nei rapimenti di turisti e operatori umanitari in Kenya, gli Shabaab hanno intimato il governo keniota di sospendere la sua offensiva militare. «Se non tornate indietro, saremo noi a venire in Kenya» ha minacciato il portavoce degli Shabaab, Bashir Rage, lasciando intendere che gli attentati contro i civili a Nairobi non sono più da escludere.

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