Immigrazione
Che significa “Paese sicuro”?
«La direttiva europea n.32/2013 stabilisce che un Paese di origine è sicuro se sulla base della situazione giuridica, dell'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni e violazioni dei diritti umani», dice Gianfranco Schiavone dell’Associazione Studi Giuridici sull’immigrazione. «Quindi la nozione è giuridica non frutto di una discrezionale scelta politica, come invece vorrebbe il Governo italiano»
di Anna Spena
Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisi. Questa è l’elenco dei 19 Paesi sicuri (fino alla scorsa primavera erano 22) approvati, lo scorso 21 ottobre, in un decreto – legge del Governo (non si è ancora visto il testo per esteso). Ma cosa determina per un migrante che arriva in Italia la provenienza da uno dei Paesi della lista? Che le richieste d’asilo avanzate da queste persone vengono prese in carico attraverso una procedura accelerata mentre il richiedente asilo si trova in uno stato di detenzione.
Perché abbiamo ricominciato a parlare di “Paesi sicuri”?
Il 18 ottobre i giudici del tribunale di Roma non hanno convalidato il trattenimento dei 12 richiedenti asilo trasferiti forzatamente nei centri di detenzione in Albania e poi portati in Italia in seguito alla decisione della magistratura. Per i giudici i due Paesi da cui provengono, Bangladesh ed Egitto, non sono sicuri. La risposta del Governo non si è fatta attendere e durante un consiglio dei ministri di lunedì 21 ottobre ha approvato un decreto che rende fonte primaria, e non secondaria, l’elenco dei Paesi sicuri per il rimpatrio (e contestualmente ha aggiornato l’elenco). «Secondo il Governo italiano ciò “blinda” l’elenco governativo che non potrebbe essere disapplicato dal giudice. Ciò però non è affatto vero perchè la legge interna rimane subordianta al diritto dell’Unione europea», spiega Gianfranco Schiavone dell’Associazione Studi Giuridici sull’immigrazione. La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4 ottobre, in realtà, impone comunque all’autorità giudiziaria di valutare d’ufficio caso per caso, Paese per Paese, se e quale Paese rientra nella nozione di Paese di origine sicuro, anche se nel fare ciò si discosta quanto affermato dallo Stato membro. La sentenza dice che i Paesi di origine sicuri per essere tali devono vedere una situazione di rispetto dei diritti fondamentali generale in tutto il loro territorio e per tutte le persone che ci vivono, basandosi sulla definizione contenuta in una direttiva europea del 2013.
Dove nasce la definizione di Paese sicuro e che cos’è la direttiva europea del 2013
«Precisiamo una cosa», dice Schiavone, «“Paese sicuro” non è una nozione politica ma giuridica che è definita nell’allegato numero uno del regolamento procedure dell’Ue: il regolamento numero 32 del 2013». La nozione è estremamente stringente: «Stando alla direttiva», spiega Schiavone, «un Paese può essere definito sicuro solo sulla base dello stato giuridico interno di tale Paese, dell’applicazione delle legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale. Attenzione: l’espressione “all’interno di un sistema democratico” è fondamentale. Deve quindi infatti essere possibile dimostrare che – in via generale e costante – in questo Paese non si verifichino persecuzioni, violenze, trattamenti inumani e degradanti. Non ci siano situazioni di conflitto in atto, sia che si tratti di guerre interne che di conflitti internazionali». Per valutare la realtà del Paese questa «va esaminata insieme alle sue leggi. E va inoltre dimostrato che ci sia effettivo rispetto dei diritti e della libertà sanciti dalla convenzione dei diritto dell’uomo – Cedu, e di altri strumenti di diritto internazionale».
Discrezionalità non è sinonimo di arbitrarietà
Cosa si evince da questa nozione? «Che la definizione “Paese sicuro”», spiega Schiavone, «è molto precisa e non può essere piegata al volere del Governo. Discrezionalità e arbitrarietà sono due concetti molto diversi. Purtroppo i Paesi sicuri sono decisamente pochi nel mondo e bisogna prenderne atto». Nell’Unione Europea «c’è un vero caos sulla questione», continua il giurista. «Alcuni Paesi, come l’Italia, hanno liste molto lunghe quando parliamo di “Paesi sicuri”. Ed è evidente che non è in alcun modo ammissibile che Paesi come il Bangladesh o l’Egitto e ancora la Tunisia possano essere considerati tali. L’elenco dei Paesi non si può formulare seguendo – e anche qui ripeto come in Italia -interessi economici e politici. Alcuni Paesi presenti nell’elenco italiano sono lontani anni luce dall’ordinamento democratico. Dove i diritti umani vengono strozzati, ne è un esempio il Bangladesh. O ancora penso alla Tunisia, ormai sprofondata in un circolo di violenza».
«La direttiva del 2013», conclude Schiavone, «lascia un margine di discrezionalità ai governi nello stabilire quali Paesi di origine siano sicuri. Ma di questa discrezionalità non si può abusare come sta facendo il Governo italiano. Siamo rimasti fermi alle liste nazionali perché i Paesi dell’Unione non sono mai stati capaci di redigere una lista unica. La decisione dei giudici del tribunale di Roma, rispetto al caso dei migranti portati in Albania, ha richiamato l’esistenza di parametri vincolanti sulla definizione di Paese sicuro».
BARI 19-10-2024 È entrata nel porto di Bari la motovedetta della Guardia Costiera italiana con a bordo i 12 migranti provenienti dal centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader per i quali è stato disposto il rientro in Italia dopo che il tribunale di Roma non ha convalidato il loro trattenimento all’interno del centro. LAPRESSE/NINO RATIANI
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