Un?immagine che mi ha sempre colpito è quella secondo cui la quantità d?acqua che serve per farci la barba al mattino è la stessa di cui dispone un bambino palestinese per tutta la giornata per lavare, bere, cucinare, eccetera eccetera.
In un mondo come il nostro di popoli ricchi e satolli, proprietari di praticelli verdissimi, di piscine azzurre in riva al mare, di auto ben lavate e di vasche di inutili idromassaggi, può sembrare strano che miliardi (non milioni, ma miliardi) di persone debbano percorrere chilometri per portare a casa un secchio di acqua fangosa, non abbiano acqua potabile a disposizione, vedano morire per malattie infettive i loro bambini e inaridirsi, in mancanza di irrigazione, le loro grame coltivazioni.
Certo, non è pensabile poter trasferire i nostri surplus idrici (ma per quanti anni saranno ancora surplus?) nei Paesi della sete cronica. Ma almeno dovrebbe essere possibile, soprattutto quest?anno (dedicato dall?Onu proprio all?acqua dolce) impegnarsi, noi doviziosamente idrici e spreconi, a far di tutto per ridurre quella massa di assetati che pesa sulle nostre coscienze: contribuendo alle campagne per assicurare pozzi e pompe nei Paesi del Sahel e coinvolgendoci nelle azioni per salvare dagli inquinamenti, dalle dighe irrazionali, dai disboscamenti criminali i bacini dei grandi fiumi della Terra, dal Congo al Rio delle Amazzoni, dallo Zambesi al Paranà.
E, restando a casa nostra – dove un consumismo sfrenato ci pone al vertice dei consumatori di acqua in bottiglia e una irresponsabilità generale provoca sprechi per acquedotti disastrati, disagi per pozzi e corsi d?acqua inquinati, carenze per irrigazioni eccessive su colture eccedentarie – sarebbe bene, infine, comprendere che l?acqua non è infinita, che interi paesi (e non solo in Sicilia) vedono l?acqua nei rubinetti solo poche ore alla settimana e che è assurdo che in un Paese montuoso e ricco di sorgenti come l?Italia, ognuno di noi beva circa mezzo litro al giorno di acqua nella plastica.
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