Mondo

Che futuro per il movimento arcobaleno. Non c’è congedo dalla pace

Tra i 300mila che hanno sfilato a Roma lo scorso 12 aprile per capire il destino del movimento per la pace.

di Ettore Colombo

Com?è il dopo 9 aprile visto dai protagonisti del mondo arcobaleno? Sergio Marelli, presidente della Focsiv, e cioè di tutte le ong cattoliche, di solito persona compassata e moderata, non usa mezzi termini per definire i corni del dilemma: “Tra Stati e governi che mostrano un giorno il volto della violenza bruta e l?altro quello del capitalismo similcompassionevole, il mondo del volontariato rischia di scoraggiarsi, vivere di frustrazione e perdere fede nella propria missione. Ora si rischia di vedere, in Iraq, un piano Marshall nuovo stile, con finalità di colonizzazione e non certo di ricostruzione. Ecco perché siamo contrari in modo netto e fermo alla commistione tra aiuti umanitari e forze militari sul campo e partecipanti al conflitto. Gli interessi affaristici delle lobby americane vanno esclusi dal quadro locale, gli aiuti e l?azione umanitaria e di ricostruzione del tessuto civile iracheno necessitano di un mandato dell?Onu e di una forza di interposizione e di peacekeeping internazionale”. Il presidente delle Acli Luigi Bobba, stanco ma soddisfatto della riuscita del corteo di sabato 12, riafferma la necessità di “esserci ancora di più, ora che si paventano nuove azioni militari da ?polizia mondiale? degli Usa contro Siria, Iran e chissà chi altri ancora. La radicale riforma delle Nazioni unite è indispensabile, come hanno chiesto chiaramente, al convegno sulla Pacem in terris, le massime autorità vaticane, da monsignor Martino al cardinale Sodano, perché a crisi globali il movimento della pace deve rispondere chiedendo democrazia, giustizia e nuove istituzioni globali”. Certo, non tutto è oro quel che luccica nel movimento pacifista italiano. Da una parte, ad esempio, vi sono quelli come Fausto Bertinotti e Vittorio Agnoletto che continuano ad inveire contro l?Ulivo in salsa ?blairiana?, dall?altro quelli che, pur da sinistra, capiscono che non basta rifiutare sdegnosamente la carità pelosa del governo per il dopoguerra, ma cercare nuove vie di pace. Il presidente dell?Arci Tom Benetollo, guarda in avanti. “Chi voleva fare a fette il movimento o farlo tornare a casa, ne esce con le ossa rotte, ma ora è il momento di voltare pagina: serve tanta informazione, su quello che accade laggiù, e tanta attività internazionale. Da un lato per portare aiuti subito, dall?altro per radicare il movimento a livello mondiale: i nostri amici americani e inglesi vivono giorni difficili, bisogna aiutarli”. Gianfranco Benzi, responsabile del rapporto con i movimenti all?interno della Cgil, ha passato una settimana faticosissima: “oggi, il movimento ha fatto un enorme salto di qualità: dal no alla guerra ?senza se né ma?, siamo passati a chiedere che siano le Nazioni unite e le istituzioni internazionali a gestire il dopoguerra in Iraq. Un passaggio nient?affatto scontato di un movimento maturo. E pronto a interloquire con la politica, oltre che a contaminarla”.


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