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Che fine fanno i finanziamenti europei ed italiani per fermare le migrazioni?

È stato presentato a Roma il nuovo rapporto di monitoraggio di Concord Italia e Cini, in collaborazione con Amref e Focsiv sul Fondo Fiduciario dell’Unione Europea di Emergenza per l’Africa (EUTF). Lanciato nel novembre 2015 al vertice de La Valletta, l’EUTF è lo strumento finanziario di 3,2 miliardi di euro per il coinvolgimento politico dei partner africani nel campo delle migrazioni. L’Italia è il principale contributore

di Francesca Baldini

Continuare a lavorare per migliorare il rapporto sicurezza, sviluppo ed immigrazione vigilando sul corretto uso dei fondi per lo sviluppo e verificando sempre la salvaguardia dei diritti umani. Con questo obiettivo si è concluso l’incontro di presentazione del Rapporto di monitoraggio sul Fondo Fiduciario dell’Unione Europea di Emergenza per l’Africa (EUTF) dal titolo “Partenariato o condizionalità dell’aiuto?”, presentato da CONCORD Italia e CINI, in collaborazione con AMREF e FOCSIV.

Che cos’è l’European Trust Fund

Lanciato nel novembre 2015 al vertice deLa Valletta, l’EUTF è il principale strumento finanziario di 3,2 miliardi di euro per il coinvolgimento politico dei partner africani nel campo delle migrazioni. L’Italia è il principale contributore. È finanziato attraverso i fondi dell’aiuto pubblico allo sviluppo (APS), infatti, il 90% del totale proviene dal Fondo Europeo allo Sviluppo (FES), uno strumento creato per affrontare le sfide strutturali dello sviluppo: la povertà, la fame, le disuguaglianze, il degrado ambientale.

Circa l’82% per cento dei fondi dell’EUTF deriva dal Fondo Europeo di Sviluppo (European Development Fund, EDF), uno strumento istituito per affrontare sfide di sviluppo strutturali nei Paesi partner. La Commissione considera l’EUTF uno “strumento di sviluppo”, sottolineando comunque che il suo obiettivo è quello di “sostenere i Paesi africani più fragili e colpiti” per affrontare “le cause profonde della destabilizzazione, dello sfollamento e della migrazione irregolare, promuovendo opportunità economiche e di uguaglianza, sicurezza e sviluppo”. Mentre la politica di sviluppo dell’Unione Europea è sempre più considerata troppo rigida e frammentaria, l’EUTF si propone come uno strumento d’emergenza innovativo, che consente una risposta più flessibile e rapida alle sfide poste dalla migrazione mista proveniente dai Paesi terzi. Poiché la maggior parte dei finanziamenti dell’EUTF proviene dall’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) dell’UE, il presente rapporto si interroga sul rischio che il Fondo fiduciario possa essere impiegato come strumento per deviare gli aiuti verso il raggiungimento di obiettivi non più collegati allo sviluppo dei paesi partner, ma piuttosto mirati ad arginare i flussi migratori.

«Noi non diciamo che il Trust Fund è uno strumento distorto -, ha ribadito in chiusura di incontro Andrea Stocchiero policy advisor di CONCORD Italia – la maggior parte dei fondi è proiettata su progetti di cooperazione allo sviluppo e sulla protezione dei migranti, ma siamo consapevoli che aspetti come sviluppo, sicurezza ed immigrazione devono andare insieme».

Dal rapporto condotto, in cui sono stati presi in esame tre casi studio come: Libia, Niger ed Etiopia; si è analizzato il rapporto tra i Migration Compact, l’Unione Europea e questi paesi, ma soprattutto le possibili conseguenze per i migranti e la stabilità locale.

Perché questi paesi

La scelta di questi paesi è stata dettata dal loro ruolo strategico nei processi migratori. La Libia rimane un paese chiave per il transito dei migranti e il punto di partenza verso l’Europa seguendo la rotta del Mediterraneo, mentre il Niger è il principale paese di transito per i migranti provenienti dall’Africa occidentale. Infine l’Etiopia paese importante non solo per l’origine ma anche per il transito dei migranti provenienti invece dal Corno d’Africa.

Criticità

Il rapporto evidenzia diverse criticità importanti nella gestione di questo fondo. Innanzitutto viene sottolineato come l’EUTF sia di fatto uno strumento politico con l’obiettivo di arginare i flussi migratori verso l’Europa, piuttosto che focalizzarsi su progetti di integrazione e sviluppo in loco. Il Fondo, secondo quanto rilevato, consente ai progetti finanziati con i soldi dell'aiuto pubblico allo sviluppo di beneficiare di procedure semplificate e più rapide rispetto ai progetti standard del FES, al fine di rispecchiare le preoccupazioni politiche negli Stati membri e di essere utilizzate come leva per una maggiore cooperazione nel settore della migrazione. La realizzazione del rapporto è stata possibile anche grazie ad alcuni giornalisti, presenti in sala, che hanno esposto le voci che hanno raccolto, di istituzioni e della società civile direttamente nei paesi monitorati. Le interviste realizzate hanno rivelato forti debolezze nel sistema di governance, perché secondo gli attori ascoltati, i progetti sono costruiti prevalentemente nei paesi membri dell’EU o direttamente a Bruxelles, sulla base delle proprie priorità nazionali. Dunque la realizzazione di un processo di selezione opaco e soggetto a pressioni da parte degli Stati membri, che rivela un nervo scoperto nell’utilizzo di fondi rispetto a progetti in loco che si rivelano disconnessi dalle reali esigenze sul campo. Gli attori locali vengono consultati a malapena e soltanto dopo che le decisioni sono state prese. Infine non c’è un quadro di riferimento che permetta alle agenzie di monitorare e valutare il loro lavoro sul campo.

Quindi un fondo come l’EUTF rischia di rivelarsi controproducente per una agognata stabilità interna in questi paesi, soprattutto rispetto ai diritti umani dei migranti e dei rifugiati. Piuttosto si risponde a priorità politiche europee, concentrandosi su misure di repressione e incoraggiando attività di contrabbando e traffico più rischiose, finendo per alimentare l’instabilità locale.

Le risposte della politica

Un lavoro di ricerca comune, tra CINI e Concord Italia, che si è rivelato vincente, come ha ribadito Stocchiero, ed utile sia per Unione Europea e Governo Italiano, al fine di «verificare quali possono essere i casi in cui ci possano essere dei problemi per i diritti umani e proseguire nel lavoro comune di verifica su flessibilità e ambiguità». Patrick Doelle, DG Immigrazione e Affari Interni della Commissione Europea nel suo intervento ricorda che questo fondo mira a «rispondere ad una questione e preoccupazione di una efficacia dello sviluppo». Un fenomeno quello migratorio che il funzionario ricorda è necessario affrontarlo con partner a livello mondale inserendosi anche negli obiettivi menzionati dall’Agenda 2030 dell’ONU. Un fondo fiduciario che risponde ad una questione di efficacia ed aiuto allo sviluppo per progetti che devono «rispettare non solo i criteri stabiliti dalla cooperazione allo sviluppo -, sottolinea Doelle – al continente africano, ma si aggiunge a tanti altri fondi europei, al fine di dare un’altra dimensione più specifica relativa alla sicurezza e alla migrazione con l’intenzione di accelerare l’approvazione di vari progetti di aiuto snellendo l’iter burocratico della nostra cooperazione allo sviluppo», come richiesto da alcuni paesi africani beneficiari dei fondi di aiuto allo sviluppo.

Dunque uno strumento da implementare per fornire risposte ad una Europa con posizioni e visioni diverse, anche sulla questione migratoria.

Come ricorda Mario Giro, viceministro agli Affari Esteri che sottolinea: «Il fondo sancito dall’incontro de La Valletta del 2015 è stato creato non solo perché bisognava finalmente coinvolgere i leader africani nei processi migratori, ma anche per avere uno strumento di gestione dei flussi».

Un aspetto quest’ultimo che si presta all’ambiguità, come ricorda Giro, considerato che nel fondo rientra l’aspetto di finanziamenti di programmi per aumentare capacità di controllo delle frontiere nei vari paesi. E quando gli viene chiesto dalla moderatrice, la giornalista Carmen Lasorella, se c’è una vigilanza governativa sulle modalità utilizzate dal fondo, il vice ministro risponde: «Purtroppo il limite è che le ONG non possono agire direttamente sul fondo ma possono e devono attuare un lavoro di vigilanza e lo devono fare direttamente attraverso i loro governi su progetti precisi».

Dunque una vigilanza rafforzata da parte delle ONG sui progetti presentati al fondo fiduciario, per salvaguardare diritti umani e uno sviluppo che produca realmente lavoro al fine di spingere le popolazioni locali a non lasciare la propria terra. Contemporaneamente lavorare di più anche sui canali regolari dell’immigrazione, nonostante «la commissione europea ha fatto delle proposte in merito -, termina Giro – ma sostanzialmente sono i paesi europei che sono contrari ad aprire canali regolari sull’immigrazione».

Le proposte emerse

A fronte del rapporto stilato e dal confronto con le istituzioni, le proposte emerse mirano a chiedere una riforma della governance del Trust Fund e tenerne sempre più conto nella formulazione del nuovo quadro di finanziamento pluriennale dell’UE. Inoltre le ONG chiedono: di offrire vie di accesso regolari a migranti e rifugiati; impedire la deviazione degli aiuti allo sviluppo dai loro obiettivi di sradicamento della povertà; assicurare l’efficacia dello sviluppo e la coerenza delle politiche; gli interessi europei sulle migrazioni non devono condizionare gli aiuti allo sviluppo; attribuire un ruolo centrale alla società civile locale. Ed ancora tenere maggiormente conto dei diritti umani nelle azioni di cooperazione del fondo, bloccando i finanziamenti alla guardia costiera libica. Ma soprattutto ridefinire l’attuale concezione dell’Unione Europea nei confronti del binomio migrazione e sviluppo, impegnandosi di più sulla protezione e per una mobilità positiva.

Foto: Alessandro Rota (Oxfam)

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