Mondo
Che fare di questo arcobaleno?
Anticipazione del numero di VITA in edicola da domani. Intervista ad Adriano Sofri. Era contro il conflitto, con o senza Onu. Ma non ha smesso di incalzare il popolo pacifista
Non fosse chiuso qui dentro da sei anni e mezzo, Adriano Sofri farebbe subito tre cose: un viaggio in Kosovo, si berrebbe un caffè in una tazza di ceramica, e si accoderebbe a un corteo della pace per capire qualcosa di più di questi ragazzi («in particolare mi incuriosisce Lilliput», ci dice). Invece, Adriano Sofri è chiuso qui dentro, carcere di San Giovanni Bosco, Pisa, e deve guardare il mondo da un?unica finestra, per fortuna sempre spalancata: quella della sua intelligenza. Con lui, che si è sempre detto contrario alla guerra, con o senza Onu, ma che si è sempre sentito libero di incalzare con franchezza il popolo arcobaleno, più che un?intervista, facciamo un esame di coscienza. Perché, caro Sofri, dopo il 9 aprile, a più di uno è venuto il dubbio che non valga la pena sbattersi per cambiare il mondo. Tu che ne dici?
Adriano Sofri: Dico che la domanda contiene già la risposta: vale sempre darsi da fare per cambiare il mondo. Con il passare degli anni e degli inganni, concepisco il darsi da fare come un rattoppare il mondo, un tirar su qualche argine caduto. E poi resta sempre la pace da fare. Quelli che fanno la guerra non sanno fare la pace, semmai fanno il dopoguerra. Che è tutta un?altra cosa. Anche se adesso mettono in giro l?idea che la pace non esiste, esistono solo le guerre; e i dopoguerra e gli anteguerra.
Vita: E invece, per te, la pace cos?è?
Sofri: Innanzitutto non è l?assenza di guerra. L?assenza di guerra non è quella cosa stupenda che inventò san Francesco: le paci. Quella grande idea di mettersi in mezzo ai conflitti per risolverli. La pace invece è un?aspirazione forte a stare bene con se stessi, con gli altri, con la natura. Uno stare al mondo in maniera non famelica, non aggressiva, non violenta. Forse è l?aspirazione più degna che il genere umano abbia elaborato nel corso della sua storia.
Vita: Qualsiasi pacifista potrebbe sottoscrivere?
Sofri: In effetti, a parte qualche caso patologico di persone che si sono inventate nonviolente all?ultimo minuto, ho notato un?aspirazione diffusa, forte e sentita, che si è già tradotta in conversione delle proprie abitudini private e quotidiane.
Vita: Che cosa non ti convince di loro?
Sofri: Non mi convince un equivoco che sta alla radice dei movimenti che aspirano alla pace. L?equivoco è quello di immaginare che ci sia un vecchio mondo, dove si consumano le contraddizioni, e un mondo nuovo, nuovo nella sua forza, che segna la tendenza del mondo. Il Papa ha parlato di una nuova era di perdono, di pace e di amore. Parole bellissime, che mi sono trascritto. Ma i movimenti le hanno colte come un annuncio, invece che come un disperato auspicio: disperato, o quanto meno, amaro e drammatico. Pensano che ci sia un?avanzante nuova era di pace, cui qualcuno interpone ostacoli e intoppi.
Vita: Ragioni come se ne discutessi tutti i giorni con loro?
Sofri: In un certo senso è così. Vivo un corpo a corpo quotidiano con il cappellano di questo carcere, don Roberto Filippini, persona intelligente e bravissima, cui voglio molto bene. Lui sostiene che persino di fronte alla legittima difesa avrebbe timore a reagire, per non aprire una fessura alla violenza. Ed essere così responsabile del suo dilagare. Io gli ribatto che non esistono fessure, esistono voragini aperte dalle guerre e dalle violenze in cui, per fortuna, persone di buona volontà, come ad esempio lui, depositano un sassolino.
Vita: Servono i sassolini?
Sofri: Altro che se servono. Ma servirebbero ancora di più se l?amore per la pace prendesse come primariamente proprio l?impegno per dotare il mondo di una legge e di una polizia internazionale, altrimenti – siccome la violenza esiste e sono isole provvisorie quelle in cui viene emarginata – vinceranno sempre coloro che, approfittando delle emergenze del momento, ricattano il mondo chiedendo ancora una volta il ricorso alla guerra invece che il ricorso a un uso misurato, necessario e legale della forza.
Vita: Ne parli come di un vecchio errore del pacifismo?
Sofri: Ma, questo che non mi piace neppure chiamare pacifismo, non c?entra nulla con quello degli anni 70. Quello era un pacifismo tutto sbilanciato da una parte, che finiva per essere alibi per una delle due superpotenze. Invece, c?è una certa analogia tra l?idea di disarmo unilaterale di allora e l?aspirazione a un pacifismo assoluto di oggi, che risponde alla difficoltà del problema gettando generosamente il cuore oltre l?ostacolo, ed eludendo in questo il problema del ricorso della forza, a volta inevitabile.
Vita: Un peccato di generosità, di eccesso, di coerenza.
Sofri: Sì, ma che rischia di renderlo inadeguato davanti ai problemi del mondo, al soccorso da portare agli inermi, alle vittime. E crea anche qualche imbarazzo.
Vita: Quale?
Sofri: Per esempio quello che si vive in questi giorni. Il movimento doveva gridare più forte di Bush il «Vattene Saddam». Così oggi si trova un po? imbarazzato di fronte a questa sicumera bellicista della guerra preventiva. Questi signori ti tolgono da sotto i piedi il terreno: copiano l?impeto e l?assalto che caratterizzava l?inizio del movimento no global, contro i pretoriani delle guerre stellari. In un cero senso, ti inchiodano a una posizione conservatrice. Pensa all?Onu, che fino a poco tempo fa veniva dileggiata e oggi è una bandiera?
Vita: È anche cambiato il contesto attorno?
Sofri: Certamente. Ma l?Onu non deve diventare un nuovo feticcio. Si capisca la necessità di uno sforzo di riforma delle Nazioni unite. Sulle guerre e sulle paci l?Onu è stata un disastro. Il ricordo del Ruanda o di Sebrenica basta e avanza.
Vita: Ti sei chiesto perché Saddam abbia accettato di combattere una guerra in cui non aveva nessuna chance di farla franca, come i fatti hanno dimostrato?
Sofri: Perché considero che questi tiranni siano persone ridicolmente volgari e dementi che possono rispondere del destino di milioni di persone. Non ho altre spiegazioni. L?altra sera lo rivedevo in tv mentre dava raccomandazione sul come le donne si devono lavare?
Vita: In un bellissimo articolo hai fatto il ritratto dell?Occidente che tu ami, e che hai definito occidente con la ?o? minuscola. In realtà in Iraq ha vinto l?Occidente neofondamentalista, con la ?O? maiuscola?
Sofri: In realtà hanno vinto quei baldanzosi neoconservatori che vogliono che la parola occidente sia cancellata. Questo distacco tra Usa ed Europa rende obsoleta la parola occidente. Vogliono un impero bizantino d?oriente che muoia nella sazietà e uno aggressivo. Muscoloso ed egemone.
Vita: Nessuno dei due mi sembra coincida con la tua idea.
Sofri: Sì, il mio occidente è minuscolo perché segnala un suo pentimento. Come l?apostrofo segnala che qualcosa è caduto, una penitenza senza prescrizione. Ma è importante che sia minuscolo, perché altrimenti si scatenano guerre di civiltà […]
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