Welfare
Che domani?
Dalla distruzione alla difficile ricostruzione: reportage dal Kosovo
Amare la vita al punto di rivendicare il diritto a privarsene. Urlare il rifiuto nei confronti di uno stillicidio di piccole e grandi emarginazioni. Parlare per se stessi, ma parlare di tutti. È una strana sensazione quella che si prova di fronte all?estrema provocazione di Germana Lancia, la giovane donna che al presidente della Repubblica ha chiesto il diritto all?eutanasia. Come si può non essere d?accordo sulle cose dure, amare, ma vere, che scrive Germana? «Sono stanca di questa apparente libertà, in cui il diritto all?uguaglianza è soppresso». Certo. È così. Non so se riusciremo mai a vedere riconosciuto il diritto all?uguaglianza. Ma quello alla normalità, spero di sì. Eppure, contemporaneamente, la lettera di questa giovane donna con problemi di disabilità lasciano un sapore amaro. Ancora una volta la ribellione del singolo, un gesto che ha una forte componente di protagonismo, in buona misura sopra le righe, fa effetto. Colpisce nel segno. Smuove le coscienze. Costringe perfino il neoeletto presidente Ciampi a prendere carta e penna e rispondere, con grande pacatezza e rispetto. C?è dunque bisogno di gesti forti, di parole come pietre? Chiedere la ?buona morte? per riaffermare la vita. Ma è assurdo che, a pochi mesi dal Duemila, sia necessaria la lettera di Germana Lancia per scoprire che esistono migliaia di persone prive del diritto di cittadinanza. Germana non è sola: le cose che lei scrive, infatti, sono la sostanza stessa di mille battaglie, fatte in silenzio ogni giorno da famiglie, singoli, associazioni più o meno storiche. Sono il minimo comune denominatore di chi, in vario modo, sta cercando faticosamente di cambiare la cultura del nostro Paese. Perché se non cambia la cultura non si abbattono le barriere. L?amarezza è che fra qualche giorno lo sfogo lucido e appassionato di una donna disabile sarà superato da qualche altro episodio di cronaca ancora più duro, ancora più crudele. Ma i problemi di Germana, e anche i miei problemi, e quelli di migliaia di persone ?normali? con disabilità, saranno lì a gridare nel vuoto pneumatico della campana di vetro di una società che ti passa accanto indifferente, se non impaurita dal confronto. A Germana vorrei dire che ho provato a immaginare – in un romanzo – un mondo capovolto, dove i disabili dominano e costringono i ?camminanti? a stare seduti, a ?riabilitarsi? secondo le regole dell?handicap. È un mondo orrendo, atroce, nel quale non vorrei mai vivere. Anche questa è una provocazione. Ma, ovviamente, preferisco questo mondo qui, cinico e insensibile, ma nel quale mi è ancora possibile sorridere e imprecare, amare e vivere.
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