Carcere

Che cosa imparare dalla brutta vicenda del Beccaria

Gli episodi gravi all’interno degli istituti per minorenni negli ultimi anni si sono ripetuti con una frequenza mai vista prima. Per gli adolescenti lo stigma del carcere diventa un marchio: così ogni prospettiva di recupero integrale risulta quasi impossibile

di Franco Taverna

Noi di Fondazione Exodus siamo tra quelli educatori che in tempi non sospetti hanno gridato provocatoriamente  all’abolizione del carcere minorile e risulterebbe fin troppo facile, davanti agli ultimi fatti del Beccaria, puntare il dito e prendere questi episodi per dire che avevamo ragione e ripetere basta con la reclusione, non funziona. Gli episodi gravi all’interno degli istituti per minorenni negli ultimi anni si sono ripetuti con una frequenza mai vista prima, quelli del Beccaria sono solo gli ultimi, appunto, ed è evidente la fatica degli operatori a trovare soluzioni accettabili che non si riducano esclusivamente all’inasprimento dei dispositivi repressivi e sanzionatori. 

La cultura della Giustizia minorile italiana, fatta di esperienze positive, valori ampiamente condivisi tra gli addetti, intuizioni innovative, come è risaputo e come anche noi abbiamo potuto constatare negli anni, è molto avanzata rispetto ad altre in Europa ma è ancora fortemente appesantita da un vulnus di fondo: la struttura carceraria, l’edificio penitenziario e di conseguenza lo stigma carcere. Con questo marchio ogni prospettiva di recupero integrale risulta quasi impossibile. Questa etichetta appiccicata sotto un programma di recupero, anche il più illuminato, vanifica i migliori sforzi e desideri di cambiamento.

Per un ragazzo che ha commesso un reato è importante la presa di coscienza dell’errore e la valutazione delle sue conseguenze ma solo in un ambiente sereno, orientato alla cura delle relazioni, animato da autorevolezza e insieme da una paziente cucitura delle dimensioni affettive può far intravedere un cambiamento possibile. La motivazione per una trasformazione positiva può nascere in un contesto sano di cura. 


Penso perciò che una reazione ai fattacci recenti possa partire da una visione diversa della esecuzione penale per i minorenni. Senza l’utilizzo di edifici con le sbarre, vecchi e tantomeno nuovi. Se non per situazioni del tutto eccezionali. Serve piuttosto un nuovo modello di formazione per gli adulti che hanno responsabilità con la presenza costante di figure educative. 

È con questo spirito che quattro anni fa abbiamo avviato una sperimentazione con la collaborazione di alcuni Centri per la Giustizia Minorile, il progetto Pronti Via! Sostenuto dall’Impresa Sociale Con i bambini, per offrire a minori che hanno commesso reati, forti esperienze educative, di cammini fatti con i piedi abbinati a cammini interiori, “carovane” li chiamiamo noi di Exodus. Quest’anno uno di questi gruppi, che abbiamo chiamato “Rotta Balcanica” consentirà ad una decina di ragazzi che hanno fatto del male ad altri e a sé, sbagliando strada, di mettersi dall’altra parte della barricata, portando loro stessi un aiuto ai loro coetanei che arrivano dai paesi dell’Est attraversando i Balcani, malmenati e senza scarpe. Negli anni abbiamo verificato l’efficacia trasformativa di questo capovolgimento: mettersi nella parte attiva di chi aiuta ha il potere di smuovere i più umani sentimenti e indirizzare la vita in una direzione positiva.

*Franco Taverna, responsabile area adolescenza della Fondazione Exodus di don Mazzi e presidente dell’Associazione Semi di Melo

Credit foto pixabay

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