Tassare la casa, la benzina, il gas, i beni di prima e assoluta necessità o tassare l’azzardo?
Il sindaco di Ravenna, Matteucci, ha preso carta e penna e ha scritto a Giorgio Napolitano e Enrico Letta chiedendo che sia l’industria (più terziario che industria, in verità) dell’azzardo a pagare il conto della crisi. Un gesto da condividere e da sostenere, ma che presenta non poche criticità.
Nei dintorni di Palazzo Chigi e del Quirinale si dice che Il Presidente del Consiglio e quello della Repubblica non ne possano più di scivoloni e trappolloni che singolarmente, ma oramai nemmeno troppo, accadono ogni qual volta si tocca un argomento per alcuni spinoso come quello dell’azzardo legale.
Scivoloni che hanno il timbro di Stefano Fassina, il viceministro dell’economia che pensava di recuperare soldi per abolire l’Imu con un maxicondono miseramente fallito a tutto vantaggio dei signori delle slot. Trappoloni come quello dell’emendamento inserito nel decreto “Salva Roma” suggerito per sua stessa ammissione alla senatrice Chiavaroli dal sottosegretario all’economia Giorgetti.
Due colpi bassi o alti, dipende dai punti di vista. C’è chi li ha letti come un avvertimento tper far capire da che lato penda oramai la bilancia dei poteri. Legalità, Stato-parastato-antistato… Tutto si compenetra e si perverte, mentre la barca affonda.
Azzardo legale: cacciamo dal linguaggio l’espressione “gioco lecito”, di lecito in un fenomeno che procura dipendenza e ansia sociale c’è ben poco – di legale, ahinoi, tutto.
La battaglia va dunque condotta dentro il quadro della legalità: problematizzandola e non assumendola come una bandierina da sventolare nei cortei. Ma va anche condotta nel linguaggio e nel campo – al tempo stesso etico e politico – che riguarda la sfera del lecito.
Ha ragione il sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci quando chiede che a pagare siano coloro che grazie a questa legalità guadagnano oltremisura. Con un piccolo problema irrisolto, che resta sullo sfondo della condivisibile lettera di Matteuci: i sindaci vogliono più potere regolamentare – potere che ora non hanno – per chiudere, vietare, autorizzare i limitare l’azzardo sui loro (e nostri) territori o chiedono solo che parte dei soldi di questo azzardo legalizzato contribuiscano a finanziare le casse degli enti locali?
Il sospetto ben più che fondato è che gli imprenditori dell’azzardo siano propensi a favorire una ricaduta positiva per gli enti in termini fiscali purché tutto rimanga così com’è: questo era il senso dell’emendamento e delle dichiarazioni della senatrice Chiavaroli (“l’ho fatto per l’erario”).
Occorre essere chiari su questo punto: le tasse di scopo legate all’azzardo sono un cappio forse meno stretto attorno ai comuni, ma restano un cappio. “Un tiranno vicino”, scriveva il filosofo liberista Bruno Leoni, “resta un tiranno al pari di quello lontano”. E noi non amiamo i tiranni, vicini o lontani che siano.
Per questo crediamo che la richiesta debba orientarsi diversamente: i sindaci pretendano, esigano più potere. Quel potere che i cittadino chiedono a gran voce affinché le loro parole – quelle spese finora – abbiano finalmente corso e ognuno sia chiamato alle proprie responsabilità. Dire un sì o un no chiari e decisi, traendone le debite azioni e conseguenze sarebbe un gesto rivoluzionario.
Nessuno ti regala niente, noi sì
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