Non profit

Che cosa aspettate, scendiamo nelle piazze

L'appello di Claudio Imprudente

di Redazione

Troppe volte le svicoliamo o ci accontentiamo di vie periferiche. Invece dobbiamo portare lì la nostra diversità. Facendo prima un pieno di autostima… Claudio Imprudente, presidente
dell’associazione Centro documentazione Handicap di Bologna, nata nel 1996, da cui nel 2004 è nata anche
la cooperativa sociale Accaparlante onlus.

Un luogo mi è particolarmente caro: la piazza. Con questa sua forma quadrata e spesso circolare: uno spazio che si apre tra le case, i negozi, le chiese e gli edifici.
Su una piazza si affaccia sempre un bar, con i suoi tavolini, i suoi profumi e la sua gente che lì prende un caffè o beve una birra mentre scambia due parole. Così gli uomini passano dalla piazza, incontrano un amico e colgono l’occasione per fermarsi, darsi una pacca sulla spalla per poi mettersi a discutere di calcio o di politica. Le donne invece passeggiano tra un acquisto e l’altro, ma non sfuggono di passare dalla piazza per vedere un po’ chi c’è in giro, così, per fare due chiacchiere. Ci sono poi i bambini che giocano, tranquilli del fatto che in piazza non passano macchine, al massimo qualche bicicletta. A me la piazza è stata davvero cara, soprattutto negli ultimi anni. Lo è stata proprio per queste sue caratteristiche di incontro e scambio.
La piazza vede sempre tanta gente, per questo può essere davvero un buon palco e, come tutti i palchi, può avere anche la grande potenzialità di innalzarti a essere protagonista alla pari delle relazioni che in piazza si intrecciano, ma può anche distruggerti, lasciandoti ai margini.
Vi dirò che per me ci sono tante e diverse piazze: a partire da quella paesana, di incontro di amici e conoscenti, a quelle un po’ “diverse”. Penso ad esempio ai convegni, anzi ai palchi dei convegni ai quali sono spesso invitato a parlare, alle trasmissioni televisive e radiofoniche alle quali ho partecipato, alle serate di presentazione dei miei libri, alle manifestazione di apertura di varie iniziative. Queste sono le mie piazze, i luoghi che mi sono cari. Lo sono perché sono occasioni in cui incontro persone, scambio con loro contenuti ed esperienze; sono luoghi però che potenzialmente portano con sé dei rischi. Essere su un palco significa camminare su una sottile linea di confine tra la partecipazione attiva, propositiva in cui io sono persona che porto la mia proposta culturale e una situazione in cui è la mia condizione di diversabile che diventa il fenomeno da baraccone.
La piazza deve essere gestita, in modo da sfruttarne le potenzialità e non inciampare nei rischi. Per questo credo sia importante arrivare alla piazza avendo spalle robuste e ben preparate da una corretta consapevolezza di sé, delle proprie potenzialità; una buona dose di autostima che aiuti a far diventare interessanti le proprie abilità e anche i propri limiti, in modo da suscitare nella gente la voglia dell’incontro, della relazione e dello scambio. Il tutto non può non essere farcito da un pizzico, che in me non è proprio un pizzico, di sana autoironia: ridere un po’ di se stessi non fa mai male, avvicina le persone abbattendo ogni possibile barriera. Lo sappiamo, il deficit mette a disagio per i motivi che ho già spiegato in altri articoli, allora che fare? Bisogna mettere le persone a proprio agio e qual modo migliore che farsi insieme una bella risata? Prendersi un po’ in giro aiuta non a ridere dei diversabili ma a ridere con i diversabili.
La piazza ha anche un’altra caratteristica che mi affascina: la sua capacità di mettere in rete le notizie e le persone; pensate per esempio a quanto circolano i pettegolezzi di paese: una volta che riescono ad arrivare in piazza ecco che diventano immediatamente di pubblico dominio. Così il fatto che si tratti di luoghi di relazione fa sì che abbiano la grande potenzialità di saper creare delle grandi reti di contatti e di persone. Allora la diversabilità stessa può diventare piazza, dunque luogo di incontro e scambio. Certo bisogna avere voglia di andare alla piazza; molto spesso è più comodo svicolarla e passare da vie periferiche, più buie, meno affollate. Mi spiego, è certo più facile starsene in casa davanti alla tv, oppure uscire, ma non entrare in relazione alla pari con le persone per accettare da queste solo l’assistenza, ponendosi in un atteggiamento vittimistico di chi è stato colpito dall’ingiustizia della vita; oppure ancora chiudersi in se stessi creandosi un proprio mondo che non è lo stesso mondo degli altri.
Tante, invece, sono le piazze sulle quali potremmo incontrarci come protagonisti attivi e propositivi di una cultura nuova; sono piazze, politiche, cinematografiche, televisive, culturali, sportive, radiofoniche, musicali, sociali, multimediali? e chi più ne ha più ne metta. E allora, cosa aspettate? Scendete in piazza.

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