Cultura

Che buon software più dai e più ti dà

Il boom dell’open source. Intervista a Mariella Berra Sociologa che dopo aver scoperto il popolo dell’Internet solidale, ha scritto un libro

di Carlotta Jesi

Donna. Cinquantenne. E per di più utente di Windows. Mariella Berra, docente di sociologia delle reti telematiche all?università di Torino, è l?ultima persona da cui ci si aspetterebbe un libro sul movimento open source. Per definizione: maschile, dominato da giovani hacker, nemico giurato di Microsoft e di chiunque cerchi di usare il software libero per confermare questa o quella teoria economica. E invece il libro lei l?ha scritto veramente. È Informatica solidale (Bollati Boringhieri, 14,46 euro, 28mila lire). Tesi: «Il successo dell?open source prova che il mondo non è solo dei paperoni che oggi dominano i mercati finanziari. C?è spazio anche per molti paperini che cooperano per creare e diffondere competenze, cultura e conoscenze in un modello di sviluppo pluralistico». Un bel salto rispetto all?interpretazione dell?open source che Linus Torvalds, l?inventore del sistema operativo Linux, dà nell?autobiografia Rivoluzionario per caso appena tradotta da Garzanti: «Ho cambiato la storia del software ?just for fun?, solo per divertimento». Eppure, due anni fa, è stato proprio il caso Linux a far suonare un campanello nella testa della professoressa Berra. «Il modello di produzione e diffusione del software libero, che nasce da un atto gratuito, era la prova di un?idea in cui credo da tempo: un modello di sviluppo basato sulla collaborazione e la solidarietà invece che sulla competizione». Vita: Come è entrata in contatto con il popolo del software libero? Mariella Berra: Come donna, e soprattutto come utente di Microsoft, non avrei avuto alcuna credibilità nella comunità dell?open source. Ma ne ho seguito gli sviluppi a distanza, sulle mailing list online. Di link in link, sono arrivata fino a Richard Stallman, il fondatore della Free software foundation con cui ho comunicato via email. Fondamentale è stato poi il mio incontro con Angelo Raffaele Meo, coautore del libro e profondo conoscitore del mondo open source, con cui abbiamo iniziato a riflettere sul maggiore impatto sociale che può avere un software libero rispetto a uno proprietario… Vita: Può farci un esempio? Berra:Una tecnologia scelta e costruita socialmente ha più possibilità di diffusione sociale di una tecnologia standardizzata, diffusa dall?alto e destinata a utenti passivi. E poi c?è il fattore prezzo: software modificabili e acquisibili a basso costo, quando non gratuitamente, aumentano per esempio la possibilità di ridurre il digital divide fra Paesi ricchi e poveri. Pensiamo all?Africa: utilizzando il software libero già disponibile, basterebbero mille miliardi di lire per collegare tutte le principali città del continente con una dorsale di banda larga. Vita: Eppure il 77 per cento dei 407 milioni di internauti contati nel 2000 vive concentrato in 15 Paesi ricchi. Che cosa non funziona? Berra: La volontà dei governi. I Paesi in via di sviluppo che hanno puntato sul software libero, come il Brasile, hanno abbattuto disoccupazione e analfabetismo. Altri, come il Messico, che hanno ceduto alle pressioni di Bush e della Microsoft, per il momento si sono lasciati scappare un?opportunità. Non hanno compreso le potenzialità dell?informatica solidale. Vita: Quali sono? Berra: Il modello di sviluppo e distribuzione del software libero, che si basa sul dono ed è completamente diverso da quello di mercato e del settore pubblico, innesca meccanismi di solidarietà. Mi spiego: quando Linus Torvalds mette il suo sistema a disposizione di tutti in rete, fa un atto gratuito di cooperazione diretto a sviluppare altra cooperazione. Vita: Una cooperazione che, alla fine, conviene anche economicamente Berra: Vita:Un modello di sviluppo basato sul dono può convivere con sistemi di investimento aggressivi come il venture capital? Berra: Sarebbe un?utopia pensare a un modello di sviluppo basato sull?informatica solidale che stia in piedi senza un sistema di produzione e diffusione proprietario. L?obiettivo dell?economia solidale è, piuttosto, permeare le politiche di mercato e la pubblica amministrazione. Prova ne sia che sempre più aziende profit stanno puntando sull?open source senza abbandonare il loro business tradizionale. Vita: Pensa a Ibm che lavora sia su software proprietario che su quello libero? Berra: Sì. E gli esempi si sprecano anche nella pubblica amministrazione: in Germania, dove l?intero sistema postale funziona con un software aperto, e negli Stati Uniti. Dopo gli attentati dell?11 settembre, stanno pensando di adottare l?open source anche le grandi agenzie per la sicurezza nazionale. Vita: Nel suo modello di sviluppo in cui la conoscenza vale molto più dei beni materiali, resta da risolvere il problema dei brevetti. Pensa a un farmaco libero oltre al software libero? Berra: Non ne sono sicura. Di certo penso che il processo di privatizzazione delle conoscenze collettive ostacola la realizzazione di un modello di sviluppo più uguale. Vita: La sua idea di un?informatica solidale fa presa sugli studenti? Molti pensanoall?informatica come a una fonte di sicuro guadagno Berra: Parlerò di questi temi nel prossimo quadrimestre, per ora quindi non posso rispondere. Di una cosa sono certa, però: il mito di chi guadagna aggressivamente, non esiste più.


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