Welfare

Che boom, la social entreprise

Terzo settore/ Qui Londra. Clare Thomas, direttrice Fondi del Bridge House Trust, allunga la mano e riconosce ai francesi una primogenitura del settore non profit in Europa

di Riccardo Bagnato

«Se è vero che il primo documento dedicato alle charity è il famoso Charitable Uses Act del 1601, dobbiamo però ringraziare il francese Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia e dal 1066 re d?Inghilterra, che per primo creò una fondazione!». Così Clare Thomas, direttrice Fondi del Bridge House Trust, allunga la mano e riconosce ai francesi una primogenitura del settore non profit in Europa. Ma a parte la cortesia, fra charity e social enterprise da un lato, e associazionismo e mutue dall?altro, il gap non è di poco conto. Se infatti le prime nascono per iniziativa di poche persone o grandi capitali senza necessità di elezioni interne, associazionismo e mutue sono modelli storici e soprattutto politici che rimangono soggetti a una prassi democratica vincolante. Se charity e social enterprise risultano curiosamente permeabili a tutti i livelli, il modello francese è inaspettatamente verticistico e conservatore: si entra se si condivide il progetto politico. «Dal 1991 al 2004 il numero di charity in Inghilterra è quasi raddoppiato», continua la Thomas, «da 98mila è passato a 169mila, e conta su un capitale di 100 miliardi di euro circa». Semplicità inglese che con un sorriso e una frase mette in chiaro che sì, le differenze politiche sono interessanti, ma quelle economiche danno ragione a Buckingham Palace e mettono all?angolo l?orgoglio celtico. Tanto che l?associazionismo francese ha recentemente dovuto lottare per salvare in extremis un sottosegretario con delega al terzo settore, mentre Tony Blair nominava Hilary Armstrong ministro dell?Esclusione sociale ed Ed Miliband ministro del Terzo settore. In Inghilterra, conferma la Thomas, oltre il 13% delle charity supera i due milioni di euro di reddito. I maggior introiti, il 51%, vengono dai privati e un buon 38% dallo Stato. Ma la sorpresa maggiore viene dalle nuove forme di social enterprise. Qui in Inghilterra, dove sono rare le cooperative e assenti le mutue, si sono costituite vere e proprie aziende che, come dice Allison Ogden-Newton, ceo di SocialEntrepriseLondon, «sono società il cui scopo principale è sociale, dove gli utili vengono reinvestiti negli obiettivi aziendali». Sono 15mila nel Regno Unito, generano un fatturato pari a 39 miliardi di euro, occupano il 7,3% della forza lavoro, e rappresentano un eccellente modello di ingresso e sviluppo per l?economia in rosa. Un vero colpo basso per i sei francesi presenti a Londra: tutti uomini.

  • Un settimanale anche là… Nato nel 1992, solo dal 2002 è un settimanale. Si tratta di Third Sector, diretto da Stephen Cook, unico e primo settimanale per il settore non profit nel Regno Unito. Conta 13mila copie vendute e fa parte del G r u p p o H a y -market Publications. www.acevo.org.uk – www.sel.org.uk www.bridgehousegrants.org.uk www.charity-commission.gov.uk Info: www.thirdsector.co.uk

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