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Chavez, voglia di populismo

Il presidente del Venezuela alla mostra del Cinema di Venezia: la passerella raccontata dai giornali

di Franco Bomprezzi

Trionfo di Hugo Chavez a Venezia, ovazioni, autografi, passerella da grande star per il presidente del Venezuela. Un fenomeno che ha colpito la stampa italiana, che si interroga sul significato di questo omaggio al discusso e dittatoriale caudillo americano, protagonista del film documentario di Oliver Stone.

 

 

 

“Venezia s’inchina a Chavez” è il titolo di apertura del CORRIERE DELLA SERA, dedicato alla presenza del leader venezuelano alla Mostra del Cinema, invitato dal regista Oliver Stone nel giorno della proiezione di “South of the border”, il film-intervista dedicato proprio al discusso presidente. Sottotitolo: “In passerella come una star riceve applausi e firma autografi”. Subito sotto “Ai piedi del Caudillo”, aspro editoriale di Pierluigi Battista, che si conclude così a pag. 3: “In Italia l’accoglienza non poteva che essere calda ed entusiastica. Assecondata dalla cultura di sinistra che qui grida al regime ma non sa vedere la fine di ogni contrappeso democratico in Venezuela che possa arginare lo strapotere del Chávez omaggiato sul tappeto rosso. Assecondata con spirito bipartisan, se è vera la leggenda di una calda telefonata tra Chávez e Berlusconi in presenza di Aida Yespica. Assecondata nell’Italia che sa festeggiare come nessun altro i dittatori che vengono a visitarci. Sicuri dell’applau­so, mentre la realtà viene messa prudentemente sotto chiave”. Paolo Costa, ex sindaco di Venezia, intervistato da Alessandra Arachi, riflette: “Sono convinto che chi era sul red carpet ad inneggiare all’arrivo del presidente venezuelano non poteva avere in testa nulla di razionale. Obama o non Obama, quello che secondo me conta, è la voglia di populismo. Di trasgressione”. La cronaca è di Francesco Alberti e sembra confermare l’intuizione di Costa: “Quando «lui», reduce da un tour di capitali tutte rigorosamente unite da un sano antiamericanismo (Iran, Libia, Siria), si materializza davanti al Palazzo del cinema, succede di tutto. Perfino, miracolo caraibico, che i comunisti di Rifondazione e i camerati di Forza Nuova si ritrovino accomunati nei festeggiamenti: i primi con bandiere rosse, gli altri offrendo al caudillo rose rosse”.

L’avvento di Chavez alla mostra del Cinema di Venezia per la REPUBBLICA vale un richiamino in prima pagina (“Mostra del cinema per Hugo Chavez accoglienza da star”) e l’apertura a doppia pagina della sezione spettacoli. “Politica in mostra” è il pezzo portante firmato da Natalia Aspesi. L’articolo della Aspesi in realtà è dedicato al film-shock sulla guerra in Libano, “Lebanon” appunto, dell’israeliano Samuel Maoz. Tocca a Maria Pia Fusco, invece, concentrare l’attenzione sul leader venezuelano. Scrive la Fusco: «Hugo Chavez conquista il Lido. Nella storia della mostra, è il primo capo di stato spettatore di un film, il suo film, “South of the border”, il ritratto che gli ha dedicato Oliver Stone, con l’intento, come dice il regista di “offrire una lettura diversa dall’immagine diabolica della propaganda americana”». Qualla di Chavez al Lido è stata una grande esibizione. Riporta la cronista di REPUBBLICA: «”Amo l’Italia, è sempre stata nel mio cuore. Viva l’Italia”, dice agli italiani. “Non amo Israele, non sono d’accordo con la politica del governo”, dice alla giornalista israeliana. Parole di buona volontà per la tv di lingua inglese, affetto  e di solidarietà ai paesi dell’America latina. E a tutti ripete che “Oliver Stone è un grande lavoratore. Un grande raccontatore di storie vere”. Non lesina sorrisi ai fotografi poi, con mossa imprevista, si avvicina alle transenne, stringe mani e firma autografi: per quasi venti minuti: un record». Poi alla conclusione del film, dopo aver fatto il pieno di applausi (in prima linea il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero) dice: «Non sono il diavolo come mi descrivono…Vogliamo vivere nel messaggio di Cristo. Io sono cristiano e credo che dobbiamo essere tutti fratelli. I rapporti con la Chiesa sono buoni, c’è qualche vescovo che mi critica, è vero, ma il mio desiderio è di incontrare il Papa».

Moore e Chavez fanno copertina su IL GIORNALE e così la mostra di Venezia è l’altra apertura, la principale riguarda le “Firme false contro Berlusconi” che si riferisce alla petizione a favore della libertà di stampa promossa da “La Repubblica” e che vede fra i firmatari, secondo il cronista Cristiano Gatti, anche topo Gigio. Senza giochi di parole Chavez è definito tiranno pop che «sul tappeto rosso sfila come un divo di Hollywood». La cronaca della sua comparsata a Venezia è di Michele Anselmi. «Proveniente da Mosca con destinazione Tripoli il presidente venezuelano ha fatto tappa al Lido ospite personale di Oliver Stone per accompagnare il documentario “South of the border” affettuosamente dedicatogli dal regista di Platoon. Non capita tutti i giorni che un Capo di Stato straniero solchi il tappeto rosso in qualità di attore protagonista. Ma Chavez lo conoscete: è un mattatore e a suo modo un divo, appunto un caudillo pop» Anselmi per chi non lo sapesse ricorda che «Chavez ha fatto votare una legge che gli permette di essere rieletto all’infinito, che a scuola c’è un’educazione militare, che ha chiuso una trentina di radio, che naviga nell’oro nero del petrolio di cui il Venezuela è ricco e che vende a Russia, Cina, Cuba e Iran». Siamo pur sempre ad una mostra del cinema e Anselmi fa contro programmazione invitando a vedere il documentario “La minaccia”, anche in dvd, realizzato da Silvia Luzi e Marco Bellino «che Gianni Riotta quando dirigeva il Tg1 non ha voluto trasmettere. Ne esce un ritratto attendibile di Chavez e del suo inquietante mix di populismo, castrismo, dispotismo. Dove l’ex parà patito del baseball dice: «Non farò la fine di Saddam. Lui non aveva  carri armati e bombardieri. Noi abbiamo i Sukkoi aerei più moderni del mondo. Quando altrove finirà il petrolio  in Venezuela ce ne sarà ancora molto. Per questo dobbiamo difenderci». Su Michael Moore il riflettore  di Stenio Solinas spia il backstage  grazie anche a rivelazioni di ex collaboratori. «Moore urla alla censura ma è pronto a licenziare chi non la pensa come lui. Tanto per cominciare Moore da direttore di una rivista cestinò un reportage di Paul Berman, oggi direttore del mensile Mother Jonas, che raccontava gli orrori della rivoluzione sandinista in Nicaragua. Il compagno di lavoro tutto fare Ben Hamper lo descrive come un padre-padrone».

“Tifo e polemiche per Chavez”, lancia AVVENIRE in prima pagina. L’articolo da Venezia di Alessandra De Luca, nelle pagine culturali, sulla passerella di Chavez è abbastanza spigoloso. Tariq Ali, sceneggiatore del film, sottolinea che «per capire il film bisogna tener conto che in Venezuela il 95% della stampa è ostile a Chavez» (che sembra fare il paio con le dichiarazioni di Berlusconi sul 90% della stampa italiana ostile a lui). Le chiacchierate di Stone con Chavez, per AVVENIRE, disegnano un presidente «privo di qualunque ombra e contraddizione»,  «una sorta di santino che nuoce a un’approfondita analisi della situazione politica sudamericana».  Chavez ha elogiato Stone come «un grande raccontatore di storie vere» e la giornalista chiosa «tra cui ovviamente c’è la sua. Vera per antonomasia. Per decreto. Per forza».

IL SOLE 24 ORE dà la notizia di Chavez in una fotonotizia a pag. 10, ma gli dedica anche uno dei commenti non firmati a pag. 16, dal titolo “Viva Hugo, crepi il Venezuela”. Scrive IL SOLE: «”La discriminazione politica è al centro della presidenza Chavez in Venezuela… Chavez disprezza la libertà e l’indipendenza della magistratura… ha violato, e lasciato violare ai suoi collaboratori, la libertà di stampa e di espressione, la libertà di associazione e sindacale, la libertà di opinione della società civile… Chavez calpesta le garanzie e i diritti fondamentali della democrazia”. Con questa denuncia si apre il Rapporto sul Venezuela dell’associazione per la difesa dei diritti umani Human Rights Watch (www.hrw.org) e quindi, alla notizia che lo sbarco del caudillo Hugo Chavez a braccetto del solito noto Oliver Stone è stato accolto alla Mostra di Venezia da una folla, avremmo sperato che si trattasse di ragazzi inneggianti alla libertà per il Venezuela. Che ingenui: erano fan che gli han chiesto a lungo autografi, senza vergogna. Solo due profughi venezuelani, con grave rischio per le loro famiglie, protestavano in nome della libertà di stampa. La festa di Venezia non li ha festeggiati, infatuata dal despota Hugo. Per pentirsi i soliti noti avran tempo, fra vent’anni».

Piccolo richiamo in prima con foto per il “Primo piano su Hugo Chavez alla Mostra”. Al Festival sulla Laguna IL MANIFESTO dedica due pagine. “Il vento rosso del new deal” è il titolo dell’articolo dedicato al film di Oliver Stone “A sud del confine” sulla svolta radicale dell’America latina in cui il protagonista è il venezuelano Hugo Chavez, «primo capo di stato sbarcato alla mostra del cinema di Venezia», come sottolinea il sommario dell’articolo a firma di Roberto Silvestri. Silvestri apre il suo pezzo con un quesito: «”Il capitalismo è buono solo quando è sotto terra”, come afferma Michael Moore. Oppure: “Un capitalismo buono è possibile”? È questa l’ultima utopia teorica del newyorkese Oliver Stone, forse terrorizzato dalla crisi del modello Wall Street e dall’insorgenza di altri paesi guida extraoccidentali, come la Cina o il Brasile nella leadership dell’economia di mercato». Nell’articolo si analizza da una parte il film e dall’altra la situazione del sud America facendo anche un parallelo con il film di Moore «Curiosamente però, entrambi i film si rifanno alla possibilità di un nuovo patto, d un new deal globale che ritorni in qualche modo alle ricette di F. D. Roosevelt (“è la lotta dal basso che deve dirigere tutto”!), alla cui seconda carta dei diritti umani (perno delle costituzioni italiana, giapponese e tedesca), annunciata in un rarissimo filmato ripescato da Moore, si rifà persino il “terrorista” Chavez, erede della fusion tra Adam Smith, teorico meno capitalista liberal di quanto non si pensi (si legga l’ultimo Arrighi) e Marx (…) Se South of the border è un duetto d’amore cameratesco tra militari che si intendono a gesti, da marine americano a paracadutista erede di Maria Lionza, un documentario di controinformazione e di contro propaganda, un murale epico western (…) Il paradosso è che oggi viene dagli Usa il famoso avvertimento anti-Urss di Castro: “Quando i marxisti a parole smettono di far danni, bisogna dare fiducia a chi finalmente agisce da marxista”».

“Barack mi piace ho deciso di incontrarlo”. Nelle pagine di Esteri, un pezzo di colore dell’inviato de LA STAMPA raccoglie le frasi lapidarie del presidente del Venezuela Hugo Chàvez sul tappeto rosso del Festival del cinema di Venezia in mezzo a ovazioni durate 18 minuti. Del neopresidente Usa Chàvez dice: «Lo voglio aiutare», «penso sia un uomo intelligente», di Benedetto XVI: «Mi piacerebbe andare a trovare il Papa», «è vero, ho qualche vescovo che mi critica, ma i miei rapporti con la chiesa sono buoni». In mezzo ai cori una voce stonata: quella di Arturo e Josmaira, con un cartello “Libertà per i mezzi di comunicazione”. L’associazione della stampa latinoamericana – scrive LA STAMPA in un box – ha denunciato che nell’asse latinoamericano propagandato da Chàvez, ossia Venezuela, Bolivia, Ecuador e Nicaragua, i rispettivi governi di sinistra minacciano i media, sia con attacchi personali a singoli giornalisti sia approvando misure che imbavagliano i media dell’opposizione, come è avvenuto ripetutamente in Venezuela. L’avversario dichiarato di Chàvez è il potente network radiotelevisivo Globovision. Il ministro per le opere pubbliche Diosdado Cabello ha annunciato l’avvio di un procedimento amministrativo accusando i media del network di istigare «il golpe e il regicidio», ossia l’estromissione di Chàvez, e ha reso noto che «altre 29 radio saranno messe a tacere».

 

E inoltre sui giornali di oggi:

 

CASO FINI

IL GIORNALE – Ieri apriva la prima pagina su Fini – oggi lo riprendono tutti i quotidiani – torna sul caso Fini con lettere. Feltri scrive a Giancarlo Lehner, deputato del Pdl, per ribadire che Fini «ha taciuto sui killeraggi progressisti e  ha accusato noi perché avevamo scoperto gli altarini del direttore  di Avvenire». Lehner nella sua missiva invece difende Fini: «è rimasto l’unico a difendere la laicità». Poi dipinge  lo scenario attuale del Pdl  in cui ci sono «clan di An apparentemente amici di Berlusconi i quali approfittando della insostenibile leggerezza  di Forza Italia – Verdini e Bondi ne sanno qualcosa o sono distratti? – sono riusciti a trasformare la proporzione 70/30 in 100  per 100 a loro vantaggio, dove la dirigenza del Pdl è già tutta nelle mani di ex missini».

IL MANIFESTO – L’apertura è affidata a una vignetta di Vauro dove un gatto Silvestro con colbacco da armata rossa e qualche piuma che svolazza fuori dalla bocca dice: «Gattocomunisti sempre!». Nel sommario: «Berlusconi va nelle sue tv, parla di “barzellette cattocomuniste” sulla libertà di stampa e offre alla chiesa il testamento biologico. Dopo Boffo, il Giornale di famiglia spara contro Fini “compagno” che sbaglia, sollevando le reazioni d An contro la “caserma” del Pdl. Per la manifestazione del 19 tutti a piazza del Popolo». Due le pagine dedicate alle manovre nel centrodestra, con un articolo dedicato alle regionali: «Formigoni blindato, Bossi punta al Piemonte» nel quale si osserva che «Umberto Bossi e Silvio Berlusconi ieri non sono usciti dalla classica cena del lunedì ad Arcore con la famosa “quadra” sulle elezioni regionali (…) In attesa che i due big si mettano d’accordo, e lo faranno, ci si può mettere la mano sul fuoco, le schermaglie vengono lasciate ai pesci piccoli. Ieri, forte dell’investitura a “presidente a vita della Lombardia” che Berlusconi gli ha affibbiato già a luglio, Roberto Formigoni (…) è tornato a blindare la sua poltrona da nuovi attacchi (…)». Per quanto riguarda i centristi un articolo a piè di pagina recita «Il leader Udc attende risposte dal premier: “Ormai delira contro tutti, se necessario alle regionali anche da soli”. Casini si prepara al dopo Cavaliere, Montezemolo aspetta» e in un punto si sottolinea come «La maionese del centrodestra dunque rischia di impazzire. E accordi solo col Pd sarebbero per Casini una scelta di campo prematura e condizionante (…)»

 

CASO BOFFO
AVVENIRE – Lanciato già in prima pagina un editoriale di Francesco D’Agostino dal titolo a dir poco pretenzioso: “Boffo e il male radicale”. D’Agostino fa una disquisizione filosofica da Platone a Kant sulla discrepanza tra virtù e premio, per cui Boffo emerge come una sorta di novello Giobbe a cui è toccato di «sperimentare su di sé il peso del male radicale». Un tantino esagerato, a prescindere da qualsiasi considerazione di merito.

LA STAMPA – Un lungo articolo di Michele Brambilla, neo acquisto de LA STAMPA (arriva dal Giornale, dove era vicedirettore). Il titolo è “Boffo e i dubbi dei fedeli”: «I cattolici che vanno a messa la domenica, la «pancia» della Chiesa se vogliamo chiamarla così, sono colpiti. Diciamo pure che sono sconcertati. Al di là delle prese di posizione ufficiali della Cei e della difesa senza se e senza ma del direttore «dimissionato», c’è un popolo che vuol sapere che cosa è successo davvero; se c’è stato un peccato, o magari anche solo un’incoerenza; e soprattutto vuol sapere se la Chiesa, anziché riconoscere e chiedere perdono, ha cercato di nascondere. (…) Quando la Cei ha deciso di difendere Boffo, quasi tutti hanno pensato: saranno in grado di dimostrare che le accuse sono false. Ma poi sono arrivate le dimissioni, accettate e forse sollecitate in segreto: e allora la gente ha pensato che forse una difesa era impossibile. Hai voglia di dire che «il direttore lascia per non esporre ulteriormente il giornale» eccetera eccetera.  Per i cattolici il punto non è l’omosessualità, e neppure le molestie. È la possibile accusa di incoerenza. Boffo è stato in questi anni portavoce di una dura battaglia, anche impopolare, che la Chiesa ha condotto sui temi dei matrimoni gay e della famiglia, temi di cui ha parlato forse più che della povertà o dell’immigrazione. I cattolici non si scandalizzano se qualcuno sbaglia: ma temono di essere accusati di non essere testimoni credibili».

 

BIOTESTAMENTO
REPUBBLICA – “Il Pdl accelera sul biotestamento: Rafforzeremo l’intesa con la Chiesa”. Berlusconi stringe i tempi per ricucire col Vaticano. Al via la prossima settimana alla Camera l’esame della legge. «Abbiamo già trenta iscritti a parlare, ma l’iter procederà in modo sereno. Entro la fine di ottobre, il testo potrebbe essere pronto per l’Aula», prevede Giuseppe Palombo, presidente della commissione affari sociali, dove il dibattito riprenderà martedì. Intanto Fabio Granata, pdl, vicino, al presidente della Camera, Fini, ha sottoscritto le proposte di Eugenio Mazzarella, pd, per cambiare la “norma Englaro”.

 

SCUOLA
AVVENIRE – In apertura, classica paginata sulla scuola multietnica, con focus sul progetto L2 lanciato da poco dal Ministero della Pubblica Istruzione e finanziato con 6 milioni di euro: corsi di alfabetizzazione supplementari (già partiti in estate e in questi giorni precedenti l’avvio delle lezioni) per gli adolescenti stranieri neoarrivati in Italia, il vero punto debole della presenza di alunni stranieri a scuola. Coinvolti 3mila docenti, su 1000 progetti approvati.

ITALIA OGGI – On line gli stipendi dei direttori generali del ministero. E’ una delle riforme in itinere approfondita nell’articolo “Operazione Brunetta, l’Istruzione ce la fa. Le scuole no”. «Da ieri» scrive ITALIA OGGI, «sotto la voce trasparenza, è finalmente possibile trovare il percorso professionale di direttori centrali (alcuni), i loro incarichi (tutti), i loro stipendi (tutti), il tasso di assenteismo delle singole direzioni». Qualche numero: gli stipendi dei tre capi dipartimento oscillano dai 215 mila ai 218 mila lordi all’anno. I 38 direttori generali viaggiano sui 145 mila euro lordi l’anno. Massimo Zennaro, portavoce del ministro, porta a casa 143 mila euro all’anno. Sul fronte delle assenze, a parte agosto dove gi uffici erano quasi vuoti, a luglio le assenze oscillavano tra il 21 e 31%. In difficoltà le scuole. Anche se per i presidi valgono le stesse nuove regole, nessuno si è ancora adeguato.

 

AMBIENTE
CORRIERE DELLA SERA – Focus a pagina 15 sui comuni virtuosi in tema ambientale. “La gara dei Comuni a cinque stelle”, il premio che giunge alla terza edizione e sarà presentato giovedì in Campidoglio. Fra gli esempi: raccolta differenziata all’85% a Capannori (Lucca), risparmio energetico a Padova, “matrimoni a mezzanotte” a Cassinetta (Milano). Gabriela Jacomella racconta “Dalla bioedilizia alla finanza etica, al «Car sharing»: come unire vantaggi economici e sviluppo sostenibile”. Intervista all’assessore alle politiche ambientali di Ponte nelle Alpi (Belluno): «Dalla voglia di non rispondere sempre no nasce lo sforzo di trovare soluzioni dal basso». Segnalato anche il libro “L’anticasta” di Michele Dotti, libro-dvd sull’Italia che funziona. 

AFFIDO
REPUBBLICA – Paolo Viotti dà conto di una decisione della Corte di appello che ha acconsentito alla volontà di una dodicenne in affido condiviso di non vedere il papà: le esigenze della minore possono non coincidere con quelle dei genitori. REPUBBLICA ricostruisce la vicenda: «la coppia dei genitori è separata da anni e abita in due città diverse. La figlia, in affido condiviso, vive con la madre. Tre anni fa la donna contravvenendo alla sentenza di affido porta la bimba in vacanza con sé. Il padre la denuncia. Da allora la ragazzina decide di rifiutare ogni incontro col padre, come forma di ritorsione contro la denuncia».  

 

LAVORO
IL MANIFESTO – Alla crisi oltre ai servizi interni sulla situazione nelle fabbriche e le lotte degli operai delle ditte in crisi, il MANIFESTO dedica l’editoriale a firma di Loris Campetti “Il canto della sirena”. «Il campanello che annuncia l’inizio ufficiale dell’autunno è suonato a Cernobbio. (…) Tra i messaggi inviati domenica scorsa c’è l’accorto appello della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia al segretario della Cgil Guglielmo Epifani: siamo tutti nella stessa barca, remiamo insieme per superare le rapide della crisi (….) è comprensibile che la leader degli industriali tema di trovarsi contro il più importante sindacato e dunque intona il suo canto di sirena, tanto più che la Cgil è l’unico sindacato confederale a non aver firmato l’accordo sulla (contro)riforma del sistema contrattuale e dunque il più sospettabile – dal punto di vista delle Confindustria – di raccogliere e rappresentare l’eventuale conflitto sociale (…)» E conclude «La Cgil si trova di fronte a una scelta ineludibile: privilegiare la rappresentanza democratica di chi costituisce la sua ragione sociale, stare con chi si batte per il lavoro, i diritti, la democrazia e chiede una redistribuzione della ricchezza, oppure far prevalere la real politik per non rischiare di essere marginalizzata insieme al movimento che rappresenta (…)».

LA STAMPA – “Tessile in sofferenza: A rischio 80mila posti”. LA STAMPA va a fare un giro a Milano Unica, il salone del tessile che si apre oggi nel capoluogo lombardo, e scopre che gli espositori sono calati del 25%. Il settore del tessile è duramente colpito dalla crisi, a cominciare dalla regione ospitante: 28 aziende chiuse, oltre 29mila lavoratori in cassa integrazione e mobilità, questi i dati snocciolati da Famca-Cisl della Lombardia. I territori più colpiti sono Como, Varese e Bergamo, cioè i distretti della seta. Gli espositori presenti puntano sull’innovazione, e tra gli argomenti scottanti c’è anche la proposta di legge per la tutela del “Made in Italy” firmata da più di 120 parlamentari di tutto l’arco costituzionale.

 

RAZZISMO
AVVENIRE – Da Cracovia, dove ha organizzato un meeting interreligioso su “Fede e cultura in dialogo”, la Comunità di Sant’Egidio propone l’istituzione di un registro europeo sul razzismo. In uno dei workshop del meeting infatti è emerso un dato preoccupante: nella sola Gran Bretagna, nel 2007, si sono documentati 65mila incidenti e delitti a sfondo razzista. «Mentre esistono consolidati anticorpi culturali per riconoscere il rischio di antisemitismo rinascente – ha detto Mario Marazziti – non esistono ancora anticorpi di fronte all’antigitanismo e al razzismo».

 

ISLAM
IL SOLE 24 ORE – A pag. 17 un’analisi di Khaled Fouad Allam sul caso California “Il dialogo con l’Islam è convivenza quotidiana”: «Da molto tempo la California è un laboratorio del mondo, con i suoi 36 milioni di abitanti, ed è stata – prima della crisi economica – l’ottavo paese al mondo come Pil (…) Qui la gente ha imparato a vivere insieme: in una città come San Francisco, i quartieri hanno dei tratti etnici – cinese, giapponese, eccetera – ma non si strutturano creando delle frontiere bensì delle reti; e le reti sono formate dalle persone, dall’andare e venire di una moltitudine di popoli e religioni che si incontrano. Così, in pieno quartiere giapponese ho visto una coppia dai tratti somali che salmodiava il Corano senza che nessuno vi facesse caso; in un’altra zona della città, ho sentito intonare canti religiosi tibetani; lungo le strade, sono numerose le coppie di giovani di razze e religioni diverse e i bambini frutto di coppie miste». Invece, riflette Fouad, «l’Europa sembra chiudersi in se stessa e non capisce ancora che ha bisogno di rinnovare e rivitalizzare il proprio tessuto sociale e umano».

CORRIERE DELLA SERA – A pag. 17: “In prigione Lubna, giornalista in pantaloni che sfida gli islamici”, pezzo sulla sentenza di colpevolezza per “indecenza”. La polizia carica i manifestanti, feriti e arresti. La giornalista Lubna Hussein ha preferito andare in carcere piuttosto che pagare la multa da 200 dollari, pena “mite”, visto che si prevedevano frustate. Era stata arrestata due mesi fa in un ristorante di Khartoum “insieme ad altre 12 donne vestite «in modo contrario all’ordine pubblico», lei e altre due non avevano voluto confessare nessuna colpa, come invece avevano fatto le altre per aggiudicarsi uno sconto di pena: 10 frustate rispetto alle 40 previste dall’articolo 152 del codice penale sudanese”. Una norma introdotta dopo il golpe del 1999 di Omar Bashir e applicata con discrezionalità. «Dal 1991 a oggi almeno ventimila donne sono state arrestate in Sudan in base a questa legge ma nessuno di loro ne parla e nessuno lo sa».

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